Ex sottosegretario agli Esteri e docente di Relazioni Internazionali all’Università per Stranieri di Perugia, Mario Giro è un esperto di Africa e migrazioni. In questa intervista smonta alcuni preconcetti sui giovani africani che emigrano in Europa
In che modo l’Africa è cambiata antropologicamente?
«Secondo la percezione superficiale preponderante in Europa gli africani migrano per sfuggire alla povertà o per le guerre. In realtà, lo fanno perché sono giovani. I giovani africani, qui sta il cambiamento antropologico, hanno completamente introiettato lo spirito della globalizzazione, che è individualista: pensano che muoversi sia un loro diritto, umano direi. Noi dobbiamo guardare all’Africa con occhi nuovi. Non è il continente sofferente che abbiamo sempre immaginato. È in evoluzione e in continua ebollizione. L’impatto della globalizzazione è stato fortissimo, molto più che da noi. I giovani, che sono il 70 per cento della popolazione africana, reagiscono in vari modi. Uno di questi, forse il migliore, è la migrazione. Altri modi sono aderire a guerriglie etniche o peggio ancora al jihadismo».
Però, oltre ai giovani migranti sedotti dalla globalizzazione, in Africa c’è anche chi non ha neppure i soldi per migrare…
«Infatti, sono i migliori quelli che migrano. I più intraprendenti, quelli che hanno più possibilità. Non certo i più poveri. In Occidente c’è questa ossessione migratoria – forse più in Europa che negli Stati Uniti perché da noi anche la sinistra ne è colpita – ed è totalmente errata. È un tema su cui dobbiamo riflettere, perché altrimenti faremo la fine di una grande Svizzera. Sono i temi che ho trattato in uno dei miei ultimi saggi: Global Africa. La nuova realtà delle migrazioni: il volto di un continente in movimento (Guerini e Associati editore, 176 pag., € 17,50, ndr)».
Chi emigra insegue lo status symbol dei nostri figli?
«Ragionano esattamente allo stesso modo dei nostri figli. I nostri figli vogliono andare all’estero? Pure i giovani africani. Naturalmente la situazione di partenza è molto diversa, loro sanno perfettamente di rischiare la vita attraversando il mare o il deserto, e non sarà certo un atteggiamento miope dell’Occidente a fermarli. E poi: vogliamo veramente che se ne vadano tutti in Cina, invece che da noi, visto che siamo in “inverno demografico” e abbiamo già qualche problema con la Cina? In fondo, per andare in Cina dall’Africa non c’è neanche bisogno di visto».
È così forte l’influenza della Cina in Africa?
«Nel 2020 è stata la Cina a salvare l’Africa, e per questo va ringraziata. Noi abbiamo abbandonato l’Africa. Dopo averla costretta a tagli tremendi, a rigidi piani di aggiustamento strutturali, ce ne siamo andati anche fisicamente, pensando che fosse come una vecchia moglie che si può lasciare quando si vuole. Dopodiché arrivano i cinesi – per fortuna sottolineo – e rimettono l’Africa al centro, perché ne hanno bisogno. A quel punto tutti quanti cambiano di nuovo direzione. Ma non è lo stesso interesse degli anni Sessanta, quello era pubblico, teso alla creazione dello Stato e del welfare africano. L’educazione per tutti, ad esempio, è stato uno dei grandi successi dell’indipendenza africana. Ebbene, quella spinta è stata distrutta e oggi la parola d’ordine è privatizzazione. Perché la globalizzazione così funziona. L’alternativa è cadere nelle mani dei fondi sovrani cinesi. Se lasciamo andare avanti le cose così, continuerà il declino occidentale, finché l’Asia avrà come alleato anche l’Africa».
Dalla newsletter “Mondo Capovolto-Notizie dal Sud del pianeta”, del Corriere della Sera, 18/02/2021
Foto: Flickr.com/amir appel, licenza CC