Le mine anti-uomo, una spaventosa minaccia ancora attuale in tanti Paesi africani
Va a rilento l’opera di rimozione delle mine anti-uomo dai terreni in cui sono state collocate durante i conflitti vecchi e nuovi sul continente africano. Negli ultimi due ci si è messo anche il covid a rallentare, e spesso fermare i costosi programmi di sminamento.
Il triste primato di paese più minato è ancora dell’Angola, che, nonostante siano trascorsi quasi 20 anni dalla fine della guerra civile, ha ancora vaste zone del base da bonificare.
Altri Paesi dai lunghi conflitti sono il Congo-Kinshasa e la Repubblica Centrafricana: anche qui le mine antiuomo sono usate dalle varie milizie e movimenti armati, che lottano contro gli eserciti governativi e spesso tra di loro. Armi subdole e spietate, fabbricate non per uccidere, ma menomare, provocare disabilità permanenti alle persone.
Più recentemente è entrata nella macabra classifica la Nigeria: i terroristi islamici di Boko Haram hanno disseminato la regione nord-orientale del Bornu, in cui hanno le loro basi, di questo tipo di ordigni, allo scopo di impedire ai soldati governativi di avanzare nel loro territorio. Ma come sempre accade, a pagare le maggiori spese sono i contadini che vanno ai campi e le donne che escono dai villaggi in cerca di acqua e legna.
È poi un fenomeno nuovo e in rapida crescita quello che si verifica nel Sahel, nei tre Paesi bersaglio dei jihadisti del Gsim, Gruppo di Sostegno all’islam e ai musulmani, costola di Al-Qaeda in questo angolo d’Africa, e dell’Isis. In Mali, Burkina Faso e Niger è sempre più frequente l’uso da parte dei jihadisti di mine artigianali, fabbricate in loco con mezzi di fortuna, ma ugualmente efficaci e pestilenziali.
Almeno una notizia positiva: l’Italia che fino a non molti anni fa era uno dei principali produttori e esportatori di mine anti-uomo, nel quadro del Trattato internazionale anti-mine, ha riconvertito le sue fabbriche della morte, ed è diventato uno dei principali realizzatori della Mine Action: bonifica dei terreni minati, assistenza alle vittime, reinserimento dei disabili, distruzione delle scorte.