È lo Stato più grande dell’Africa occidentale con un’estensione cinque volte più ampia dell’Inghilterra. La sua storia è scandita da antichi e importanti regni, come quello Mandingo. Il Mali rimane un Paese ancora instabile, a causa dell’elevato rischio terroristico e di una situazione politica estremamente variabile. Ecco perché i viaggi a scopo turistico sono fortemente disincentivati. A rischio sono varie zone, a partire dalla capitale Bamako, dove si sono verificati vari attentati, come quello del 21 marzo 2016 contro la base della missione EUTM a guida UE e quello del 7 marzo 2015 avvenuto in un bar frequentato anche da turisti stranieri. I pericoli non mancano neppure nelle regioni settentrionali, tra Timbuctù, Gao e Mopti. In questa situazione così complessa e imprevedibile, in pericolo non sono soltanto la popolazione e lo sviluppo socio-economico, ma anche il patrimonio culturale di un Paese ricco di luoghi che hanno destato l’interesse e l’ammirazione di antropologi, scrittori e viaggiatori.
I Manoscritti di Timbuctù
Questa antica porta del deserto sahariano, Timbuctù, ha da sempre affascinato e incuriosito esploratori, commercianti, viandanti. Venne fondata verso l’anno Mille – si narra – da una donna Tuareg in cerca di una fonte d’acqua per far abbeverare i suoi cammelli. Timbuctù è chiamata anche la “città dei 333 santi”, poiché si dice ospitò decine e decine di devoti e pii fedeli. La città visse un’epoca di prosperità tra il XIII e il XVI secolo, grazie ai fiorenti scambi commerciali transahariani di oro, schiavi e sale; divenne anche un rinomato centro della cultura islamica, sede di università e scuole coraniche.
Timbuctù rimane famosa per i suoi antichi manoscritti – se ne contano migliaia – la maggioranza dei quali redatti in arabo e in lingua songhai, riguardanti svariati temi, dalla letteratura alla musica, dalla filosofia agli affari. Proprio questi manoscritti, ormai negli ultimi tre secoli, sono in pericolo, non soltanto per effetto del passare del tempo. A causa dell’instabilità del Mali, Timbuctù fu uno degli epicentri dell’assalto dei fondamentalisti armati. Uno dei questi gruppi nel giugno 2012 iniziò a demolire antichi luoghi di culto e tombe. Per timore che anche i manoscritti venissero distrutti, Abdel Kader Haidara, Direttore della “Biblioteca Mamma-Haïdara”, con l’aiuto di colleghi e parenti, riuscì a spostare, nascondere e proteggere oltre 300mila documenti.
La scia dell’assalto del gruppo fondamentalista ha lasciato comunque pesanti conseguenze: molti manoscritti rimasti vennero distrutti (il numero preciso appare incalcolabile), come pure nove mausolei. Venne danneggiata anche la moschea di Djingareyber, sito Unesco, tra le più antiche e famose di Timbuctù. A costruirla nel lontano 1327 fu Abu Ishaq as-Saheli, architetto e poeta andaluso. La moschea di Djingareyber è stata ricostruita nel 2015 e oggi è uno dei luoghi-simbolo della rinascita del Mali. Tuttavia, rimane nella speciale lista dell’Unesco dei siti Patrimonio dell’umanità in pericolo, insieme a tutta la città di Timbuctù.
La Grande moschea di Djenné
Ubicata su un’ansa del fiume Bani, Djenné è un centro unico al mondo. Le sue origini risalgono all’VIII secolo e per la sua posizione strategica divenne un centro commerciale molto importante. Fungeva infatti da collegamento tra la zona sahariana, le piste carovaniere del deserto e le regioni ricche di foreste e di risorse naturali della cosiddetta Africa Nera. Domina sulla città la grande imponente moschea, edificata nel XIII secolo, la più famosa dell’Africa Occidentale. Questo sito, inserito nel 1988 dall’Unesco nella lista dei Patrimoni mondiali dell’umanità, è un esempio architettonico dell’incontro di vari popoli.
Quella che si vede oggi è la moschea ricostruita tra il 1906-1907, riproduzione fedele dell’originale. La sua caratteristica principale, oltre alle dimensioni, è la materia con cui è stata realizzata, ovvero un impasto di argilla, paglia e sterco, un composto chiamato “banco”, che altro non è che il mattone di fango di cui i djénnénké sono veri e propri maestri. Scavi archeologici promossi dall’Unesco tra il 1977 e il 1997 hanno messo in luce straordinari reperti storici, anteriori al III secolo a.C. risalenti a una struttura urbana pre-islamica. Gli scavi hanno fatto emergere dalla coltre di terra giare funerarie, vasi e altri utensili in metallo e in ferro. Anche la moschea di Djenné è nella speciale lista dell’Unesco dei siti Patrimonio dell’umanità in pericolo.
La Tomba di Askia
Nella speciale lista dell’Unesco dei siti in pericolo troviamo la Tomba di Askia. Situata a Gao, questo grande mausoleo la cui forma ricorda vagamente quella delle piramidi egizie, venne fatto costruire nel 1495 da Askia Mohamed, imperatore del Regno di Songhai. La dinastia degli Askia rese fiorente la cittadina di Gao, all’epoca capitale Songhai, espandendo i confini del regno sino alla regione Mossi e al territorio degli Hausa. La Tomba di Askia venne edificata quando Askia Mohamed ritornò dal pellegrinaggio alla Mecca. Dopo questo viaggio l’Islam divenne religione ufficiale dell’Impero Songhai. La tomba fa parte di un ampio complesso, costituito da due moschee più basse, da necropoli e da un ampio spazio per assemblee all’aperto.
Il solo sito Unesco del Mali che non appare in pericolo è la falesia di Bandiagara, nel territorio Dogon. Di questo popolo e delle sue tradizioni ce ne occuperemo in un prossimo articolo.
Silvia C. Turrin
Foto: Wikimedia; Store norske leksikon