Questa seconda domenica dopo Natale si propone, attraverso le sue letture, di aiutarci a continuare la nostra riflessione sul Natale. È una maniera per far penetrare nella nostra vita, goccia a goccia, il senso di quanto abbiamo vissuto e l’impegno a cui siamo chiamati.
Dio ha un progetto
Paolo nella lettera agli Efesini che leggiamo quest’oggi ci parla del disegno d’amore del Padre che ha stabilito, fin dalla creazione del mondo, di adottarci come figli suoi.
Questo progetto Dio lo ha curato nei particolari, lo ha portato avanti per millenni, finché nella sua sapienza ha deciso il tempo, il luogo e le persone in cui e con cui concretizzarlo.
Questa maniera di fare di Dio ci interroga. La tentazione per noi tutti, in effetti, è quella di vivere alla giornata, prendendo la vita così come viene, subendo in qualche modo la vita, invece che costruirla. Certo sappiamo bene che tante volte non c’è programmazione che tenga: tutto è sconvolto, tutti i piani saltano. Ma questa non è una ragione sufficiente per non progettare il nostro futuro, per non curarne la realizzazione nei dettagli, per non perseguirne la realizzazione.
Cristo pone la sua tenda fra noi
Il realizzatore di questo progetto del Padre è suo figlio Gesù. È Lui che viene in un momento preciso della storia, quando era imperatore romano Cesare Augusto, in un luogo preciso, a Betlemme, periferia di Gerusalemme, con l’aiuto di due semplici persone, Maria e Giuseppe.
Il Figlio di Dio viene ad abitare in mezzo a noi, non in un mondo creato su misura per lui, ma nel nostro mondo. Non obbligando gli uomini ad imparare la sua lingua, le sue usanze, le sue convenzioni, ma accettando le nostre, in particolare quelle di un popolo che viveva ai margini dell’impero romano.
Anche qui l’insegnamento è chiaro: non possiamo vivere ai margini della nostra vita, del nostro mondo, aspettandone altri migliori. Sono il mondo nel quale viviamo, la famiglia in cui ci troviamo, il lavoro che svolgiamo, la parrocchia in cui siamo inseriti, che attendono il nostro impegno, oggi e non domani. Porre la nostra tenda nella nostra realtà significa essere disposti anche a spostarla quando occorre, per non rimanere sempre ai margini della vita, evitando così ogni impegno concreto e ogni coinvolgimento fattivo.
Noi possiamo rifiutarlo o accoglierlo
Diventare figli di Dio, vivere da cristiani non è un obbligo, ma una possibilità, un’offerta che ci viene fatta. Nessuno è condannato ad essere cristiano. Fin dal momento della sua venuta nella storia Gesù ha toccato con mano la possibilità di essere rifiutato: Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
Ma noi, come le persone di ogni tempo e di ogni luogo, abbiamo anche la possibilità di accoglierlo, come dice l’evangelista Giovanni: a quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Farlo entrare nella nostra vita dandogli la possibilità di trasformarla, appartiene a ciascuno di noi.
Ma lo facciamo e lo faremo se crediamo veramente come scrive papa Francesco che: “non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa” (Evangelii gaudium, n° 266).
P. Renzo Mandirola SMA