Il film Mia e il leone bianco di Gilles de Maistre riesce a conquistarsi una buona fetta di pubblico anche nelle sale cinematografiche italiane. Quando si tratta dell’amicizia tra una bambina e un tenerissimo leone bianco è naturale commuoversi e restare profondamente coinvolti nella storia. Mia e il leone bianco è una favola moderna che, però, nasconde purtroppo una terribile e reale verità. Si tratta della spregiudicata pratica, molto diffusa in Sudafrica, di allevare specie animali, persino a rischio d’estinzione come i leoni bianchi, in speciali riserve. Una volta cresciuti, questi poveri animali vengono “liberati” in spazi recintati, dove i patiti della caccia – soprattutto europei e nord americani – riescono a ucciderli facilmente, senza alcun rischio, trasformandoli in meri trofei da esibire al mondo grazie al web. Queste aree preposte specificamente a questo tipo di caccia sono spazi circoscritti e chiusi, in cui gli animali, non hanno scampo: la loro sorte è segnata.

Un commercio aberrante e redditizio

leoncini leoni rinchiusi sudafrica

Secondo recenti dati, in Sudafrica ci sarebbero circa 8000 leoni allevati in cattività per questo tipo di “caccia al trofeo” (una minima parte di questi leoni è allevata anche per la ricerca scientifica). Questo numero fa impressione, se si pensa che sono soltanto 3000 i leoni che vivono allo stato selvaggio, per lo più nei parchi nazionali, dove la caccia è vietata (sebbene atti di bracconaggio si verifichino anche nelle riserve protette). Alcune associazioni internazionali in difesa degli animali (tra cui la Four Paws, la Great Plains Foundation e la Lions4Lions) è da anni che stanno denunciando questa vera e propria industria della caccia al leone. Si tratta di un commercio redditizio, poiché frutta agli allevatori e agli organizzatori circa 36 milioni di dollari all’anno.

Nelle numerose fattorie d’allevamento, i leoni vengono sfruttati sin da piccoli. I cuccioli vengono presi in prestito da alcune strutture eco-turistiche, dove possono essere tranquillamente accarezzati o nutriti – addirittura con il biberon – da stranieri, in genere facoltosi. I leoncini vengono allontanati dalla propria madre per essere trattati come giochi e peluche, per il divertimento del turista di turno. Una volta diventati adulti, i leoni sono utilizzati ancora una volta per il macabro divertimento di uomini, ma anche donne, desiderosi di portarsi facilmente a casa un trofeo, che può essere la pelle o la testa… o semplicemente un osso. Persino alcuni gruppi di cacciatori criticano questa crudele pratica, poiché la preda è impossibilitata a scappare in uno spazio così angusto come quello che viene riservato per questo tipo di massacro: la “vera caccia”, affermano associazioni come la Safari International, presuppone che l’animale abbia la possibilità di fuggire, di muoversi liberamente e di sottrarsi alla minaccia.

Cacciatori bianchi e facoltosi

Il cacciatore-tipo è un bianco facoltoso – disposto a pagare tra i 20mila e i 50mila euro – che vuole portarsi a casa un ricordo dal viaggio in Sudafrica. Ma non vuole la t-shirt con il volto di Nelson Mandela, né una bella statua in ebano realizzata dagli artigiani locali. No, vuole dimostrare, prima di tutto a se stesso, che ha potere, che è superiore, e che quel potere lo può utilizzare dove e come vuole. Anche in Italia sono sorte Agenzie specializzate nell’organizzazione di viaggi orientati specificamente ai safari di caccia. Secondo la Kevin Richardson Foundation negli ultimi due decenni, il numero dei leoni selvaggi è diminuito del 43%.

Tentativi per vietare il massacro di animali

Agli inizi di novembre 2018, l’aberrante pratica della “caccia al trofeo” è entrata nel Parlamento di Cape Town, quando il Comitato per le politiche ambientali, sulla base di un rapporto stilato il 21 e il 22 agosto 2018, ha invitato il Ministro dell’Ambiente a modificare l’attuale legislazione relativa all’industria e al commercio dei leoni in cattività. Il Comitato ha evidenziato le forti critiche verso questa pratica orrenda mosse addirittura da organizzazioni favorevoli alla caccia, come la già citata Safari International e il Dallas Safari Club. Critiche, di tutt’altro peso, sono giunte anche dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN).

Speriamo quindi che il successo del film Mia e il leone bianco possa contribuire a sensibilizzare non solo l’opinione pubblica sullo sfruttamento e sul commercio dei leoni allevati in cattività in Sudafrica, ma possa anche convincere il Ministro dell’Ambiente, e più in generale il governo di Pretoria, a vietare l’aberrante caccia al trofeo e il massacro della meravigliosa fauna sudafricana.

Silvia C. Turrin

Foto: africageographic.com; Lions4Lions ©Pippa Hankinson; IMDb.