Sono più di cinquemila le popolazioni che vengono comunemente definite “indigene”. L’Onu celebra questa diversità come un patrimonio da preservare.
In un mondo sempre più globalizzato nel quale alimenti, prodotti e perfino idee tendono ad essere conformati, la diversità è troppe volte vista come un ostacolo, un’incongruenza da appianare.
Il diritto al rispetto della propria identità
Secondo la “Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni” i popoli e gli individui indigeni sono liberi e uguali a tutti gli altri popoli e individui e hanno il diritto di essere liberi da ogni tipo di discriminazione nell’esercizio dei propri diritti, in particolare di quelli che fanno riferimento alle loro origini o identità indigene
Disseminate per il globo, esistono ancora migliaia di comunità che resistono a questo appiattimento culturale e che perpetuano tradizioni e stili di vita antichi, con caratteristiche sociali, culturali, economiche e politiche distinte da quelle delle società dominanti in cui vivono. Proprio per celebrare la meravigliosa diversità antropologica del nostro pianeta il 9 agosto si festeggia la Giornata mondiale dei popoli indigeni, proclamata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1994.
Indigeni dell’Amazzonia
La Chiesa Cattolica nell’ottobre del 2019 ha dedicato un Sinodo Speciale dei Vescovi ai popoli indigeni dell’Amazzonia. Qui, secondo i dati dell’organizzazione internazionale “Survival” – movimento che si occupa dei diritti dei popoli indigeni nel mondo – vivono un milione di autoctoni.
L’Amazzonia ospita circa 400 tribù, ognuna delle quali ha le sue tradizioni e una propria lingua. La maggior parte di queste popolazioni non ha contatti con il mondo esterno da circa 500 anni. Altre non hanno addirittura mai avuto contatti con le società che le circondano.
La comunità indigena più numerosa del Brasile è quella dei “Guarani” che conta 51 mila membri circa, anche se del loro territorio originale è rimasto poco a causa dello spazio concesso per l’allevamento di bestiame, le piantagioni di soia e quelle di canne da zucchero. Il popolo con il territorio più vasto, che occupa un’area di 9,4 milioni di ettari nell’Amazzonia settentrionale è quello dei “Yanomami”, composto da 19 mila membri.
Indigeni dell’Africa
Tra i popoli indigeni più noti ci sono, poi, i Boscimani (Khoi-San) che contano circa 100 mila persone e vivono in Botswana, Namibia, Sud Africa e Angola. A causa della scoperta dei diamanti agli inizi degli anni ’80 nei territori da loro occupati, i governi locali forzarono questa popolazione a lasciare i territori dei giacimenti rinvenuti.
A partire dal 1997 ci furono i primi sfratti forzati. Secondo quanto scrive Survival, oggi i Boscimani vivono in campi di reinsediamento. “Per sopravvivere – scrive l’organizzazione internazionale – dipendono in gran parte dalle razioni di cibo distribuite dal governo perché sono praticamente impossibilitati a cacciare e vengono picchiati e arrestati se sorpresi a farlo”.
Diversi, poi, sono i popoli che vivono nella Valle dell’Omo in Etiopia. Qui, le piene del fiume omonimo garantiscono biodiversità e sicurezza alimentare. Questi popoli applicano tecniche di coltivazione a rotazione, in particolare sorgo, mais e fagioli e vivono di pastorizia nelle savane o nei pascoli prodotti dalle esondazioni. Alcune tribù si danno anche alla caccia e alla pesca.
Negli anni ’60 e ’70, in questi territori sono stati istituiti parchi nazionali che hanno causato la progressiva perdita di controllo e l’esclusione delle popolazioni indigene.
Foto: Survival International