La testimonianza di p. Antonio Porcellato ieri sera alla Veglia di Preghiera a Crema

Sono passati 24 mesi da quella notte in cui, prima dell’una, il telefonino mi ha svegliato. C’era p. Désiré, responsabile Sma in Benin e in Niger che mi diceva: “Hanno preso p. Gigi”.

Dall’incredulità iniziale, siamo passati alla speranza di riaverlo presto in pochi giorni fra noi. Altri confratelli SMA, un padre  irlandese e un vescovo centrafricano erano stati rapiti negli anni scorsi, ma ambedue erano tornati dopo pochi giorni.

Per p. Pier Luigi invece, giorno dopo giorno, l’attesa si è prolungata nella mancanza assoluta di notizie certe e di prove che fosse ancora in vita. Ricordo il primo incontro con l’Unità di Crisi della Farnesina, in cui era presente suo fratello, p. Walter: ci hanno detto e ripetuto che ci voleva tempo, dei mesi, forse degli anni. Siamo ora arrivati a 24 mesi.

Molti paesi ci invidiano questa struttura, dipendente dal Ministero degli Esteri, con persone competenti e dedicate che hanno come scopo specifico di riportare a casa vivi i cittadini italiani vittima di rapimenti. Ho accompagnato tre volte i familiari e devo dire che sono rimasto sempre molto colpito dall’accoglienza e umanità di queste persone.

Guarda le foto della messa celebrata per p. Gigi a Genova il 20 ottobre,
nella chiesa di S. Maria di Castello

P. Gigi condivide la sorte di rapito con altri espatriati che sono spariti nella zona nel Sahel, in particolare in tre paesi vicini: il Niger, Il Burkina Faso e il Mali. Ci sono dei cooperanti, dei volontari umanitari e dei missionari cattolici e protestanti: ricordo in particolare sr Gloria Arvaez, suora colombiana, rapita oltre tre anni fa, nel febbraio 2017 in Mali; il padre Joel Yougbaré, sacerdote del Burkina Faso, della diocesi di Dori, rapito esattamente sei mesi dopo P. Gigi; la missionaria metodista svizzera Béatrice Stockly, rapita in Mali in gennaio 2016. Non dimentichiamo poi le diverse centinaia di persone di questi tre paesi, abitanti e anche forze di sicurezza locali, uccisi o scomparsi nel corso di attacchi e scontri o costrette a fuggire dai loro villaggi.

All’inizio di aprile di quest’anno, un breve video, per la prima volta reso pubblico, ci ha mostrato per 23 secondi P. Gigi insieme con un altro giovane italiano: ambedue dicevano il proprio nome e la data: 24 marzo 2020. Questo ha alimentato le speranze, ma per ora stiamo ancora aspettando. Certi indizi e l’incrocio con testimonianze di altre persone ci fanno pensare che P. Gigi sia vivo e anche in buona salute sia fisica che mentale.

Secondo le testimonianze di altri rapiti che sono poi stati rilasciati, in generale gli ostaggi sono trattati con rispetto, anche se devono condividere delle condizioni di vita molto dure come cambiare di posto praticamente ogni giorno, affrontare la grande escursione termica del deserto: freddo di notte e temperature insopportabili di giorno. Devono far fronte alla continua incertezza di non sapere di che cosa capiterà nei prossimi giorni o anche nelle prossime ore.

Leggi la lettera di p. Mauro Armanino al suo amico p. Gigi
a due anni dal rapimento

La preghiera è certamente un grande sostegno, magari ripetendo quanto si ricorda a memoria del Vangelo, dei Salmi, e che si cerca di ripetere sottovoce tra sé e sé per non dimenticare. P. Gigi che è una persona anche molto pratica e che lavora bene con le mani, si sarà magari fabbricato con degli stracci qualcosa di simile a una corona per contare le Ave Maria del Rosario.

Ma P. Gigi non è il solo a pregare. Certamente in modi che noi non possiamo misurare è sostenuto dalla preghiera direi incessante di tantissimi di noi. Penso a quello che dicono gli Atti degli Apostoli degli Apostoli quando Pietro era stato messo in prigione da Erode: “Una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui” (Atti 12,5).  Ne testimonia la fedeltà di questa comunità diocesana con a capo il proprio vescovo nel trovarsi ogni 17 del mese.

L’anno scorso il 17 maggio, Papa Francesco ricevendo in udienza noi padri della Sma dopo l’Assemblea Generale, ci ha assicurato della sua preghiera, così anche il card Parolin che in seguito ho potuto incontrare. I missionari Sma e le suore di Nostra Signora degli Apostoli sono presenti in oltre 30 paesi del mondo e oggi dappertutto come qui ci sono preghiere e Messe offerte per lui.

Certamente pregano i cristiani di Bomoanga. Pregano per lui Gianni e Nina, suoi genitori e vorrei ricordare anche la piccola Miriam Dawa, una ragazzina di 13 anni, di Bomoanga che P. Gigi era riuscito a mandare all’Ospedale Bambin Gesù di Roma sperando in un’operazione al cuore che potesse salvarla. In realtà poi la malattia era un’altra e io stesso ho fatto il funerale nella nostra casa generalizia. È sepolta a Roma, nel cimitero di Prima Porta. Certamente intercede per P. Gigi che l’aveva preparata al battesimo.

Come vivo io questo rapimento di P. Gigi, come lo viviamo noi?  Mi ricorda che la nostra è una vita già donata. Leggendo le lettere dei nostri primi missionari e missionarie in Africa mi stupisco perché questi giovani arrivavano in Africa non ancora trentenni ed erano coscienti che avevano molta probabilità di morire di malattie sconosciute ed erano felici di essere lì. Avevano dato la loro vita a Dio per la missione. La nostra vita è già donata.

Riprendo qui le parole iniziali del testamento del p. Christian de Chergé, monaco di Tibhirine, secondo me uno dei testi spirituali più alti di questi ultimi secoli: “Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.”

Infine, ripenso a Gigi e alla sua vita missionaria in Costa d’Avorio, nell’animazione missionaria in Italia e infine in Niger. Gigi è un missionario intraprende e creativo, molto vicino ai malati, ai più abbandonati. Ricordo la mia visita a Bomoanga nel febbraio del 2008: conosco molti paesi africani, ma quella zona mi era sembrata la più distante dalle comodità e dai servizi offerti dalla società moderna che anche in Africa avanza a grandi passi.

Ripenso alla sua grandissima gioia e soddisfazione nell’inaugurare quattro anni fa la nuova Chiesa di Bomoanga, dedicata allo Spirito Santo, pensata e costruita con tanti riferimenti e simboli della cultura Gurmancé. Mi domando quando P. Gigi è stato più missionario?  A Bondoukou, in Italia, a Bomoanga per undici anni, o in questi due anni di rapimento e di impotenza?

Guardando alla vita di Gesù, al suo mistero pasquale mi ripeto: è stato missionario sempre, ma certamente lo è ancora oggi, anzi oggi più che mai.

P. Antonio Porcellato
Superiore Generale della SMA