Scholastique Mukasonga, nata nel Gikongoro, sud-ovest del Ruanda, nel 1956, è una scrittrice di lingua francese di etnia tutsi. Nel 1973 è stata costretta a fuggire dapprima in Burundi e poi in Francia per sottrarsi alle persecuzioni degli hutu. Nel 1992 si è stabilita in Normandia, dove vive tuttora.
È così sopravvissuta al genocidio del 1994 in cui hanno perso la vita trentasette membri della sua famiglia, tra cui la madre.
Ha esordito come scrittrice nel 2006 con Inyenzi ou les Cafardes (Inyenzi o gli scarafaggi, Gallimard), seguito da La donna dai piedi nudi (Galimard 2012) dedicato alla madre Stefania, uccisa appunto nel 1994.
Nel 2010 ha pubblicato la raccolta di racconti L’Iguifou. Nouvelles rwaindaises e, con il suo romanzo, Nostra Signora del Nilo, pubblicato in Italia nel 2014 da 66thand2nd, si è aggiudicata il Prix Ahmadou Kourouma e il prestigioso Prix Renaudot.
Nel 2014, sempre per Gallimard, è uscita in Francia la serie di racconti Ce que murmurent les collines.
Il suo ultimo romanzo per Gallimard è del 2020, Kibogo est monté au ciel, nella prestigiosa collana Blanche.
Tra autobiografia e finzione, Nostra Signora del Nilo, è ambientato in Ruanda, negli anni settanta. La vita di Gloriosa, Frida e le altre studentesse del collegio femminile Nostra Signora del Nilo scorre in modo tranquillo.
Appartengono all’alta borghesia hutu e conducono una vita agiata. Ricevono un’educazione europea da insegnanti europei in un’oasi protetta, circondata da piantagioni di caffè e a due passi dalle sorgenti del Nilo, vicini alle quali è stata eretta una grande statua di una Madonna nera, dalle perfette sembianze tutsi.
In realtà, anche tra le mura del liceo si infiltrano goccia a goccia i germi di quel razzismo interetnico che dilanierà negli anni il Ruanda.
La rivalità tra la maggioranza delle studentesse hutu e la piccola quota ammessa tutsi, si trasformerà in qualcosa di molto vicino all’odio senza senso del futuro genocidio.
La statua, dai caratteri somatici tutsi, verrà abbattuta in modo rocambolesco per essere sostituita da un’altra dalle caratteristiche di autentica ruandese hutu.
In realtà, poi, si scoprirà di non essere neppure nera e che è la mano coloniale belga ad essere presente in ogni aspetto della vita della ex colonia.
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A cura di Ludovica Piombino, Biblioteca Africana Borghero
Foto: Wikimedia; sito dell’editrice 66thand2nd