Una fonte diplomatica in Etiopia ha riferito alla Cnn che i ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF) e dell’Esercito di liberazione degli Oromo (etnia maggioritaria del Paese) si trovano a pochi chilomentri da Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia, dopo che nei giorni scorsi hanno occupato le città di Dessie e Kombolcha, roccaforti la cui caduta ha aperto ai ribelli un corridoio verso la capitale.
Secondo la fonte, i ribelli hanno le capacità militari per entrare ad Addis Abeba in poco tempo se lo volessero, ma preferirebbero trovare un accordo con il governo.
Stato di emergenza e venti di guerra sempre più minacciosi
Ieri il presidente Abiy Ahmed, che vede il suo potere vacillare, ha dichiarato lo stato di emergenza nel Paese, ha sospeso tutte le libertà e ha dato tutto il potere all’esercito.
Kenea Yadeta, responsabile dell’ufficio governativo per la sicurezza della capitale, citato da Al Jazeera, ha lanciato questo appello agli abitanti di Addis Abeba: “Tutti devono organizzarsi quartiere per quartiere, isolato per isolato, per proteggere la pace e la sicurezza. Devono farlo coordinandosi con le forze di sicurezza”.
Due visioni dell’Etiopia in conflitto
Dal crollo dell’Impero del Negus, in Etiopia si scontrano due visioni antagoniste della forma che deve assumere lo Stato: centralizzato o federale. Il presidente Abiy promuove la prima, Tigrini e Oromo invece la seconda. Proprio l’élite politica tigrina aveva architettato lo stato federale, ma è stata estromessa dal potere nel 2018 da Abiy, regolarmente eletto, e deciso a smantellare le autonomie locali.
Non si sa però fino a che punto Abiy persegue un progetto personale, o condiviso dalla coalizione politica che lo ha fatto eleggere.
“Penso che il suo progetto sia di tipo messianico”, dice Éloi Ficquet dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales, facendo eco a molti colleghi. “Crede nel suo destino e pensa di essere guidato dalla provvidenza divina“, continua l’analista. “Vede le sue prove come prove mandate da Dio, che una volta superate riveleranno una grande Etiopia. Non credo si possa più parlare di un progetto politico, ma di un’esaltazione megalomane.”
L’Eritrea resa complice
Ed è emerso il vero motivo della riconciliazione con l’Eritrea, che gli ha valso il Nobel della Pace nel 2019: isolare sempre più a leadership del TPLF, gli ex padroni del paese, che si opponevano al suo progetto nazionalistico e accentratore.
Ne è seguito un anno di violenza senza precedenti per le popolazioni civili del Tigray e dell’Amhara, così come per i rifugiati eritrei, che furono coinvolti in un regolamento di conti etnico e in una carestia organizzata. La ribellione del Tigray è una conseguenza di questa politica di Abiy.
Paradossalmente Abiy ha indebolito l’esercito nazionale etiope, suo difensore, che finora ha sempre mantenuto una posizione equilibrata, operando epurazioni e dando spazio a fanatici incompetenti presi dalle milizie regionali a lui favorevoli.
Dopo Addis Abeba, Asmara?
Kjetil Tronvoll, ricercatore dell’Oslo University College, ha mantenuto contatti con la leadership tigrina prima e dopo la guerra, e riferisce che i dirigenti del TPLF “hanno detto più volte che questa volta il dittatore eritreo Issayas Afeworki sarà stato ritenuto responsabile delle atrocità commesse nel Tigray sotto i suoi ordini”.
“La guerra non finirà con la cattura di Addis Abeba”, sottolinea Kjetil Tronvoll, “la guerra continuerà finché Issayas Afeworki non sarà rovesciato ad Asmara”.
Le reazioni dell’Onu, dell’UE e degli USA
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è detto “estremamente preoccupato” per l’escalation di violenza in Etiopia. “È in gioco la stabilità dell’Etiopia e dell’intera regione”. Ha quindi ribadito il suo appello per un’immediata cessazione delle ostilità e per un accesso senza ostacoli agli aiuti umanitari in particolare nelle tre regioni settentrionali Tigray, Amhara eAfar.
Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, chiede il cessate il fuoco immediato: “Chiediamo a tutte le parti in Etiopia di attuare un cessate il fuoco significativo con effetto immediato e di impegnarsi in negoziati politici senza precondizioni. Siamo pronti a sostenere tali sforzi”.
L’inviato speciale degli Usa per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltman, si recherà in Etiopia nei prossimi giorni per cercare una soluzione pacifica al conflitto in corso fra il governo e i ribelli del Tigray.
L’ONU denuncia crimini contro l’umanità
Le comunicazioni sono interrotte in gran parte dell’Etiopia settentrionale e l’accesso ai media è vietato, rendendo così difficile tracciare le linee dei due fronti.
In un rapporto dell’Onu relativo ai primi otto mesi del conflitto, la guerra nel Tigray è stata caratterizzata da violenze che “possono costituire crimini di guerra” e “contro l’umanità”.
Il dossier appena pubblicato dall’alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani assieme a una commissione etiope denuncia esecuzioni extragiudiziali commesse da entrambi i fronti: torture, rapimenti, violenze sessuali compresi stupri di gruppo di donne e uomini, oltre a saccheggi.
Fonti: RaiNews24 e RFI
Foto: DW/Seyum Getu
P. Marco Prada