Don Michele da alcuni mesi è in Centrafrica, precisamente nella missione di Monassao. Prete diocesano di Savona, e missionario associato alla SMA, ha inviato al settimanale della sua diocesi, Il Letimbro, questo articolo che qui riproduciamo.

Ecco quanto scrive don Michele:

Carissimi amiche e amici,

il 27 gennaio partivo per l’Africa! Oggi 27 febbraio, dopo un mese, ho celebrato la prima domenica a Monassao!

Facendo un passo indietro, all’arrivo a Bangui il 28 gennaio, sono stato accolto da p. Justin, superiore del Distretto SMA in Centrafrica, nella casa a PK 10 “Sato”.

In questa casa ho mosso i primi passi nel cuore dell’Africa, conoscendo gli altri padri SMA che qui vivono il loro essere missionari, tra parrocchie nella capitale, casa di formazione per i seminaristi SMA e parrocchie nelle altre Diocesi di Berberati (dove si trova Monassao) e di Bossangoa.

Ho potuto conoscerli tutti approfittando di una settimana di incontro, come avviene tutti gli anni a febbraio, per condividere ognuno la propria missione, valutare il cammino fatto e compiere nuove scelte per il bene delle comunità che ogni giorno siamo chiamati a servire.

Ho iniziato il famigerato corso di sango, la lingua del paese, che sarà la mia lingua nei prossimi anni insieme al francese.

Un breve corso per un’infarinatura di grammatica. E appena ho ricevuto il prolungamento del mio visto sul passaporto, sono potuto partire finalmente per raggiungere la mia missione, con alcuni confratelli missionari nella parrocchia vicina di Belemboké.

È un viaggio molto particolare, da Bangui a Monassao, circa 500 km, distanza che in Italia si può percorrere (salvo traffico o lavori in autostrada) in 5-6 ore…

Per noi ce ne sono volute 14. Ma è stato uno dei viaggi più belli che abbia mai fatto, lasciando la capitale abbiamo attraversato decine di villaggi, incontrando numerosissime “barriere” (posti di controllo), in alcune si paga un pedaggio, in altre ci hanno chiesto un rosario…

Siamo partiti dalla casa di PK 10 a Bangui alle 6 del mattino e siamo arrivati a Monassao alle 20.30.

Dicevo della bellezza di questo viaggio, perché ho visto uno spaccato dell’umanità qui in Centrafrica: la vita del villaggio, un’infinità di bambini, di giovani, di donne e uomini che al passaggio fissavano le nostre due macchine che lasciavano dietro di loro un’enorme nuvola di polvere.

Soprattutto bambine e donne che avevano la loro testa carica ogni genere di cose: acqua, generi alimentari, legna, con un equilibro straordinario in quanto non si può perdere neanche una goccia di quel bene prezioso che è l’acqua.

O nulla di quel cibo che sarà il nutrimento della giornata, vendendolo o preparandolo in quelle cucine tipiche delle case nei villaggi, e cioè un fuoco fatto per terra con quella legna trasportata sulla stessa testa.

Quanti piccoli fiumi abbiamo attraversato con le nostre auto a passo d’uomo su minuscole passerelle di legno, e quell’andare lento permetteva a noi e a chi stava lavando i propri panni nell’acqua di fissarci incrociando sguardi e storie, salutandoci con un cenno, un sorriso.

Dopo aver lasciato le strade della capitale, abbiamo percorso i primi 100 km su una strada asfaltata, anche se con molte buche, e superato il paese di Mbaiki, è cominciata la strada sterrata.

Questa in alcuni tratti (pochissimi) è scorrevole e in altri (la maggior parte) talmente dissestata da dover andare a passo d’uomo, mettendo alla prova le sospensioni dell’auto e quelle di noi passeggeri, ricordandoci di chiudere i finestrini ogni volta che si incrocia un’altra auto o un camion per evitare di respirare polvere per qualche minuto.

Ma come dicevo la bellezza del viaggio è stato incrociare migliaia di persone nei loro villaggi o camminando lungo la strada, grazie al fatto di non poter sfrecciare a 130 all’ora come nelle nostro autostrade o superstrade.

Il resto del panorama era una strada di terra rossa o sabbiosa, che per mesi diventerà impraticabile a causa della pioggia, e poi l’orizzonte, alberi e alberi, il cielo, il sole caldo di mezzogiorno, le capanne dei villaggi, fiumi…

Quante domande nella mia testa durante questo viaggio, ma ad un certo punto le domande allo lasciato spazio ad uno sguardo ammirato, e mi sono detto: basta domande, contempla ciò che vedi, questa è la tua nuova casa!

La prima destinazione è stata Mabondo, dove abbiamo lasciato Parfait, un seminarista che sta facendo un anno di stage in questa parrocchia nella foresta, dove non c’è corrente, linea telefonica, internet, nulla, ma c’è una bella comunità di pigmei, una parrocchia immensa che per percorrerla occorre fare un centinaio di chilometri.

Poi siamo giunti ormai di sera a Belemboké, la parrocchia dei padri Serge e Frank, e di 4 suore Domenicane.

Don Michele, sinistra, con p. Davide Camorani e p. Carlos Bazzara a Bangui

Qui c’era p. Woijtech, il parroco polacco di Monassao, e facendo gli ultimi 25 chilometri del viaggio siamo arrivati finalmente a Monassao dove ci aspettava p. Davide per condividere la cena, e poi una gratificante doccia e a nanna, felicemente stanco.

Che bello essere arrivati sabato sera e poter vivere il primo giorno a Monassao, di domenica quando la comunità si riunisce alle 8.30 per la Messa, che oggi abbiamo concelebrato tutti e tre insieme, Woijtech, Davide ed io.

Una celebrazione bellissima animata dai canti, dove tutti cantano e spesso si muovono sul posto in una danza semplice e solenne, il gruppo dei chierichetti con la loro tonaca arancione, naturalmente la liturgia in sango, conclusa con gli avvisi per l’inizio della Quaresima ormai alle porte e la mia presentazione da parte p. Woijtech e alcune mie parole in francese tradotte da lui in sango, un’accoglienza semplicissima… bellissima!

Le mie parole le posso riassumere così: Singila mingi, Nzapa! (Un grande grazie a Dio). Comincia così la mia missione (ricordandomi con non è mai la mia ma di Dio), in questa terra benedetta, ma così ferita dalla povertà, dalla guerra, dall’instabilità, tante sono le cose da fare, ma l’inizio del mio essere qui a Manassao comincia con l’ascolto, la conoscenza, l’apprendimento della lingua…

Alle persone ho chiesto, salutandole, di insegnarmi ciascuno una frase in sango, ogni volta che nei prossimi giorni ci incontreremo camminando per il villaggio.

Concludo ancora dicendo il mio grazie al Signore per il dono di questa missione, di p. Woijtech, di p. Davide, grazie alla SMA, alla Diocesi di Savona, alla mia famiglia.

Singila Nzapa!

Don Michele Farina

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