Negli ultimi decenni, i processi di urbanizzazione e modernizzazione hanno mutato il volto di tanti paesi africani. Sempre più persone abbandonano le zone rurali per trasferirsi nelle grandi città. I conglomerati urbani, anche in Africa, sono sempre più tecnologici e connessi al mondo digitale.
Accanto al volto moderno del continente, osserviamo ancora tante zone dove rituali ancestrali sopravvivono o vengono riscoperti.
È questo il caso di alcuni centri situati tra Ghana e Togo, dove perdurano tradizioni antichissime. Viaggiare in queste zone dell’Africa occidentale significa incontrare etnie che hanno saputo proteggere la loro cultura, pur guardando al futuro.

di Silvia C. Turrin

Prime tappe in Ghana

Ashanti_Kumasi,_Ghana

Partiamo da Accra, metropoli animata, a tratti piena di contrasti come è tipico di molte città, non solo africane. La capitale del Ghana non è però una delle nostre mete da scoprire in dettaglio, ma solo una tappa di passaggio da cui partire alla volta di Kumasi. Il tragitto si snoda nel cuore dell’antica terra degli Ashanti, popolo tra i più fieri dell’Africa occidentale, le cui tracce in questa zona risalgono all’XI secolo.

Gli Ashanti fanno parte della popolazione Akan e sono anche chiamati “i signori dell’oro”, poiché conservano una singolare e potente concezione della regalità simboleggiata dallo “scranno d’oro”. Questa denominazione deriverebbe anche dall’abbondante presenza nelle loro terre di giacimenti auriferi, che poi attirarono l’attenzione e le mire colonialiste degli europei, i quali, non a caso, rinominarono tali zone Costa d’Oro.

A Kumasi si può scoprire la storia e il folklore degli Ashanti all’interno del Prempeh II Jubilee, piccolo ma ben fornito museo in cui sono conservati preziosi manufatti antichi e moderni, come il famoso seggio d’oro, il simbolo più sacro degli Ashanti, che in realtà è un falso, poiché quello originale è gelosamente custodito nel palazzo dell’Ashantehene. Il falso scranno venne costruito per trarre in inganno gli inglesi, i quali all’inizio del XIX secolo pretesero che fosse loro donato (nei primi dell’800 ci furono numerosi scontri tra inglesi e Ashanti per il controllo dell’area).

ghana

In questo museo si ammirano anche i preziosi tessuti adinkra, splendidi esempi di arte, creatività e sapienza artigianale. Il Prempeh II Jubilee si trova all’interno del Ghana National Cultural Centre, ampio spazio ideato negli anni ’50 dello scorso secolo dall’antropologo Alexander Atta Yaw Kyerematen per valorizzare le espressioni artistiche e artigianale della sua nazione. In esso troviamo teatri, una libreria ben fornita dedicata al patrimonio storico-culturale Ashanti, un’area dove conoscere i segreti della medicina tradizionale locale e addirittura la riproduzione in scala di una piantagione di cacao, con incluso il modello di un’antica fattoria.

Lasciando Kumasi e procedendo in direzione nord si arriva nel distretto Tamale. Qui s’incontrano popolazioni Dagomba, abili agricoltori, pescatori e cacciatori, la cui struttura sociale si fonda ancora sul ruolo centrale del capo villaggio, il più anziano. L’importanza di questa figura tradizionale è testimoniata anche dall’ubicazione della sua casa, costruita proprio al centro del villaggio: attorno vi sono le altre abitazioni, raggruppate in quartieri ognuno caratterizzato da una particolare “corporazione” o specializzazione, come il quartiere dei macellai o quello dei fabbri.

I Dagomba sono apprezzati anche per le loro abilità artistiche, in particolare in campo musicale. Percussioni, violini e flauti sono usati per comporre musiche melodiche e ritmiche, concepite per i canti di buon auspicio (per esempio per un buon raccolto e per la prosperità del villaggio) e per canti di preghiera.

Passaggio in Togo

In Togo, accanto alla presenza di tanti fedeli cristiani, protestanti e musulmani, troviamo ancora numerose persone che seguono culti tradizionali legati all’animismo. La forza di tali culti è talmente radicata che si può scontrare con la modernità. È ciò che è accaduto anni fa, per esempio, nel sud del Togo, precisamente nella laguna di Aného, bonificata solo dopo la deportazione di una parte della popolazione locale. Un trasferimento forzato, poiché gli abitanti ritenevano sacre le acque, dimora del loro coccodrillo totem.

A quattro chilometri da Aného, cittadina un tempo capitale del Togo durante il periodo coloniale, si può fare tappa a Glidji per assistere a una celebrazione intrisa di culti tradizionali. Si tratta della festa delle Divinità Nere, commemorata in un’area boschiva consacrata al dio Pitone. Organizzato in dicembre, il Festival è stato creato proprio per mantenere in vita antichi simbolismi e ataviche credenze, forse anche per attirare più turisti nostalgici di un’Africa mitizzata ed esotica.

Nel corso di una decina di giorni, la cerimonia ripropone maschere, danze, conferenze e sfilate. Un tripudio di colori e di costumi tradizionali. Maschere che raffigurano lo spirito di un antenato ritornato tra i vivi; cortei che inneggiano la grande divinità Dan (invocata dalle popolazione del Benin, oltre che da quelle del Togo meridionale); parata dei rappresentanti delle varie società iniziatiche connesse all’animismo. Tutto questo e altro ancora viene proposto in un Festival che è espressione di un’Africa desiderosa di mantenere in vita i suoi usi e costumi atavici.

Anche nella stessa capitale del Togo, Lomé, si scoprono numerosi elementi legati all’animismo. Basta far visita al suo vivace mercato dei feticci e dell’artigianato, organizzato alla periferia della città. Un sito dove gli esperti “féticheurs” (maghi o stregoni dei culti animisti), possono trovare di tutto per i loro rituali: talismani, feticci di animali, amuleti da portare al collo. Luoghi dove le antiche tradizioni convivono con gli slanci postmoderni.

Foto: Wikipedia; quod.lib.umich.edu; Flickr