La martoriata terra del Sud Sudan è stata la seconda tappa del viaggio di Francesco. Dopo il difficile e toccante passaggio nella tormentata Repubblica Democratica del Congo, il pontefice ha portato il suo messaggio di pace in un paese poverissimo, nonostante sia ricco di importanti risorse minerarie e naturali, come il petrolio.

Che la sofferenza del popolo sud sudanese non sia vana

Il pellegrinaggio ecumenico in terra africana di Francesco si è concluso nella più giovane nazione al mondo, nata a seguito della secessione dal Sudan, nel 2011. Sin dalla sua nascita, il Sud Sudan non ha mai conosciuto un vero periodo di pace. Dal 2013 al 2018 è piombato in una guerra civile, provocata dalle rivalità tra il Presidente della giovane nazione Salva Kiir e l’ex vice-presidente Riek Machar. Nel 2018 i due rivali si impegnarono a formare un governo di unità nazionale. Ma la violenza e gli scontri non sono cessati: per questo, papa Francesco, nel suo viaggio ecumenico, ha avvertito i dirigenti politici del Sud Sudan che la Storia li giudicherà severamente se continueranno a non mettere in atto gli accordi di pace stabiliti nel 2018.

Arrivato il 3 febbraio a Giuba, capitale del Sud Sudan, Francesco non ha voluto perdere tempo prezioso. Ha incontrato le autorità politiche e religiose, nonché i rappresentanti della società civile e il corpo diplomatico presso il giardino del Palazzo Presidenziale. E dopo il discorso introduttivo del Presidente della Repubblica, Salva Kiir Mayardit, il Santo Padre ha lanciato il suo appello affinché questa giovane nazione possa finalmente intraprendere un percorso di riconciliazione e di unità.

 “Anni di guerre e conflitti non sembrano conoscere fine e pure recentemente […] si sono verificati aspri scontri, mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute. Questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto”.

Il Sud Sudan è una nazione in bilico tra povertà e ricchezza, tra zone aride e aree fertili, tra pace e guerra. Confina con Sudan, Etiopia, Kenya, Uganda, Repubblica democratica del Congo e Centrafrica. Attraversato dalle acque del Nilo Bianco, il Sud Sudan racchiude al suo interno oltre 60 comunità etniche. La guerra civile, scoppiata due anni dopo l’indipendenza dal Sudan, ha provocato 400mila morti e milioni di sfollati. Un conflitto sanguinoso, che ha visto la disumanità manifestarsi in massacri etnici. Donne e giovani ragazze vennero rapite, trasformate in schiave, e brutalmente violate. Non vennero protetti nemmeno i bambini. Molti furono costretti a imbracciare le armi e a prendere parte a una guerra insensata, come lo sono tutte le guerre.

Un paese a maggioranza cristiana deve fondarsi sulla fratellanza

Papa Francesco, con l’arcivescovo anglicano di Canterbury, Justin Welby (a sinistra della foto) e dal moderatore della Chiesa di Scozia, il reverendo Iain Greenshields (a destra), accanto al quale si trova Salva Kiir Mayardi (con il cappello “da cowboy”), presidente della Repubblica del Sud Sudan.

Il Sud Sudan non è una nazione “facile” da comprendere, analizzare e spiegare. E il viaggio di papa Francesco non è stato altrettanto facile, non solo dal punto di vista emotivo, ma anche fisico e spirituale. Vedere il pontefice, coi suoi 86 anni sulle spalle, compiere un pellegrinaggio così complesso e ardentemente voluto, dovrebbe far riflettere non soltanto le autorità politiche del Sud Sudan.

Francesco, in questa impegnativa missione di pace, è stato accompagnato dall’arcivescovo anglicano di Canterbury, Justin Welby, e dal moderatore della Chiesa di Scozia, il reverendo Iain Greenshields. Voci cristiane che hanno parlato a un paese a maggioranza cristiana. Per questo Francesco si è rivolto direttamente ai leader politici del Sud Sudan, spronandoli apertamente a interrompere la violenza con queste parole:

“Signor Presidente, Signori Vice-Presidenti, in nome di Dio, del Dio che insieme abbiamo pregato a Roma, del Dio mite e umile di cuore nel quale tanta gente di questo caro Paese crede, è l’ora di dire basta, senza ‘se’ e senza ‘ma’: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione! Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace!”.

Papa Francesco ha attinto alla sua energia interiore e alla sua fede più profonda per trasmettere a voce e per iscritto la forza della concordia e dell’unità. Nello stesso giorno del suo arrivo a Giuba, Francesco, in visita di cortesia al Presidente della Repubblica del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, ha scritto sul Libro d’onore:

“Qui pellegrino, prego perché in questo caro Paese, dono del Nilo, scorrano fiumi di pace; gli abitanti del Sud Sudan, terra della grande abbondanza, vedano sbocciare la riconciliazione e germogliare la prosperità”.

La marcia per la pace di giovani e capi spirituali

L’importanza della visita del pontefice per i cristiani del Sud Sudan può essere sintetizzata nella storia di un gruppo di pellegrini, che hanno compiuto quasi 400 chilometri per poter assistere alle celebrazioni religiose di papa Francesco organizzate a Giuba. Formato da giovani e capi spirituali – tra cui Christian Carlassare, nato a Schio (Vicenza), nominato vescovo della diocesi di Rumbek dallo stesso Francesco l’8 marzo 2021 – il gruppo era partito diversi giorni prima dell’arrivo del Santo Padre in terra africana. Camminando per nove giorni tra canti e preghiere, i pellegrini hanno attraversato villaggi, manifestando non soltanto la gioia di poter vedere Francesco, ma anche la speranza di una riconciliazione nazionale attraverso la fede.

Acqua, vita e bene comune

Nei discorsi di Francesco troviamo diversi riferimenti alle risorse minerarie e naturali del Sud Sudan. Questa nazione, dopo la sua indipendenza, può disporre dei ¾ delle riserve petrolifere del Sudan. E le sue entrate dipendono dall’oro nero per il 90%. Una ricchezza che non tocca la maggioranza della popolazione. Ma questo giovane Stato nasconde un’altra risorsa preziosa: l’acqua. Attraversato dal Nilo Bianco, il Sud Sudan può vantare al suo interno una delle più ampie e importanti zone paludose e di acqua dolce del continente africano.

Si tratta della zona chiamata Sudd, un’area paludosa, estremamente fertile quando viene inondata dall’esondazione degli affluenti e dei corsi d’acqua di questa straordinaria ecoregione. L’area del Sudd è tutelata dalla Convenzione di Ramsar ed è quindi ritenuta una delle zone umide d’importanza internazionale. L’instabilità politica del Sud Sudan nasce anche dall’utilizzo dell’oro blu. Le guerre dell’acqua è da decenni che si combattono in Africa.

Papa Francesco ha pronunciato queste parole il giorno stesso in cui è arrivato a Giuba:

“Torniamo alle sorgenti del fiume, all’acqua che simboleggia la vita. Alle fonti di questo Paese c’è un’altra parola, che designa il corso intrapreso dal popolo sud sudanese il 9 luglio 2011: Repubblica. Ma che cosa vuol dire essere una res publica? Significa riconoscersi come realtà pubblica, affermare, cioè, che lo Stato è di tutti; e dunque che chi, al suo interno, ricopre responsabilità maggiori, presiedendolo o governandolo, non può che porsi al servizio del bene comune. Ecco lo scopo del potere: servire la comunità. La tentazione sempre in agguato è invece di servirsene per i propri interessi. Non basta perciò chiamarsi Repubblica, occorre esserlo, a partire dai beni primari: le abbondanti risorse con cui Dio ha benedetto questa terra non siano riservate a pochi, ma appannaggio di tutti, e ai piani di ripresa economica corrispondano progetti per un’equa distribuzione delle ricchezze”.

In questo pellegrinaggio ecumenico, Francesco ha sparso sulla terra del Sud Sudan e sull’intero continente africano semi di concordia per un futuro migliore.

Non perdete mai la speranza. E non si perda l’occasione di costruire la pace”, ha detto il pontefice al termine della Santa Messa presso il complesso del Mausoleo “John Garang”.

Con questa celebrazione, il pontefice ha concluso un viaggio certamente impegnativo, ma “necessario” per risvegliare le coscienze affinché si depongano “le armi dell’odio e della vendetta per imbracciare la preghiera e la carità”.

La via della pace è l’unica via di salvezza, terrena e celeste.

Silvia C. Turrin

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