Padre Renato Zilio, missionario scalabriniano a Casablanca da alcuni anni, è passato a Fès, antica e storica città del Marocco, dove ha incontrato p. Matteo Revelli SMA e le Piccole Sorelle di Gesù. Ci manda alcune riflessioni su come vive la Chiesa in un paese islamico. Una presenza umile e coraggiosa, ma con “il sapore del sale”.
Distesa su varie colline, antica capitale del Marocco, da sempre città sacra dell’Islam, Fès vi attende per sorprendervi ed incontrarvi. È formata da tre grandi città, cresciute l’una accanto all’altra e costruite in epoche diverse. Nel IX secolo, la più bella e antica “medina” del Marocco, patrimonio dell’Umanità per l’Unesco: una ragnatela infinita di vicoli e viuzze, che vi porteranno alla scoperta di Al Quaraouiyine, prestigiosa e splendida moschea, una delle prime università nel mondo mediterraneo. Poi venne Fès El Jedid (la nuova) del XIII secolo, attorno al palazzo reale. Infine, quella moderna, degli inizi Novecento, al tempo del Protettorato francese. É qui che vi attende don Matteo Revelli SMA, nella sua chiesa dedicata a S. Francesco d’Assisi.
La comunità cristiana qui si è rinnovata nel tempo, dopo la partenza degli europei e ha preso una nuova energia con l’arrivo di tantissimi giovani universitari subsahariani. Hanno una borsa di studio offerta dal Marocco, come in tante altre città del Paese, Casablanca, Rabat, El Jadida… Sono in tutto circa 15 mila giovani, spesso cristiani, che in questo modo il Marocco forma come leaders per l’Africa subsahariana. Coltiva, cosi, sapientemente le relazioni internazionali del domani.
La Chiesa in Marocco è una chiesa umile, coraggiosa, fraterna. E minoritaria, cioè insignificante per numeri, ma significativa.
Ci consolava recentemente papa Francesco nella sua visita, ricordandoci che:
«non è un problema essere pochi, ma piuttosto essere sale che non ha sapore, luce che non fa luce!».
Ed è una Chiesa fatta di stranieri, ma non straniera a questo popolo. A servizio del Regno di Dio, della giustizia, della pace, del dialogo. E non di se stessa, non ripiegata su di sè. Realmente cattolica, perchè di un centinaio di nazionalità differenti. Appassionata e appassionante, nel suo costruire ponti e passerelle con una società tanto differente, in terra d’Islam. “Buona samaritana” con le migliaia di giovani migranti che, in viaggi estenuanti, tremendi e disumani, provengono dai Paesi subsahariani con in testa un sogno: l’Europa.
La sfida più grande e più bella di questa Chiesa: «essere sacramento dell’incontro» come è scritto in un suo recente documento.
A Fès, nella medina (città antica), vive, pure, una comunità di Piccole sorelle di Gesù. Nate nel deserto dell’Algeria come un dono di Dio, quando il deserto sa farsi fecondo, ne portano sempre le caratteristiche, come i cromosomi di un carisma: semplicità, essenzialità, preghiera e fraternità. Sono distribuite in piccole comunità nel Marocco, ben radicate in mezzo alla gente, seppure di tante nazionalità. Parlano arabo marocchino (darija) come tutti e vivono il mistero di Nazareth in terra d’Islam. Coltivano la contemplazione e la fratellanza universale, ereditate da Charles de Foucauld.
«L’islam non è un’ideologia», vi ripeteranno, ma sono persone che esse incontrano ed amano quotidianamente. E questo traspare in loro in ogni occasione. Il senso del servizio nelle piccole cose le rende grandi.
La città, come ogni villaggio, si risveglia qui alla preghiera per cinque volte al giorno, all’appello del muezzin: una sinfonia incredibile, corale, quotidiana di tutte le moschee dei vari quartieri. In terra d’Islam pregare è essenziale. È come l’acqua di sorgente per il deserto.
Così, una Piccola sorella, che lavora in ospedale, ricorda bene quando un giorno il medico, non riuscendo più a farcela nel suo intervento per un bambino gravissimo, a un certo punto si fermò. Depose i ferri. Si mise a pregare e alzando la voce, poi, verso di lei: «Prega anche tu, di’ un’Avemaria!». Pregare è aggiungere una forza misteriosa alle nostre forze. Lo si capisce qui, per davvero, in questo mondo musulmano. «Le cose importanti non vanno cercate, ma attese», concluderebbe Simone Weil.
padre Renato Zilio