Ho avuto l’onore di incontrare papa Francesco in udienza privata il 9 novembre 2020, un mese dopo la mia liberazione. Quel giorno il papa stesso mi ha accolto sulla porta del suo studio, e tendendomi la mano mi ha detto: ‘ecco un martire’. Ero emozionato di poterlo incontrare di persona, ma quel suo appellativo d’entrata mi ha sorpreso e fatto arrossire. Il colloquio che ne è seguito ha precisato quel preludio: la missione è testimonianza e mai proselitismo.
In quell’incontro ho toccato con mano quanto le periferie del mondo siano al centro del suo pontificato. Mi sono sentito periferia accolta e ho pure sentito quanto il papa sia in ascolto della chiesa perseguitata. Direi che paradossalmente questa comunione di cuore con i missionari lo sostenga nel suo ministero di papa. Sappiamo quanto ami la chiesa come ospedale da campo e non come museo di archeologia.
Ho sentito accoglienza e profondo ascolto anche durante la veglia di preghiera per i missionari martiri in cui ho testimoniato della mia storia e della sofferenza delle popolazioni del Niger perseguitate. La vita di tanti testimoni fino al martirio sprona l’impegno missionario di tutti i cristiani per un futuro di pace, di amore e di giustizia. Missione è essere chiesa in uscita per andare alle periferie esistenziali della vita.
La nostra vocazione di discepoli missionari si intreccia con le periferie del mondo, coi poveri, con gli ultimi e dialoga con tutti. Sono profondamente convinto che il dialogo è il nome nuovo per dire missione oggi. Con una terminologia più aggiornata al nostro mondo interconnesso, dialogo si traduce con ‘farerete’, oppure con un dire più sinodale, ‘fare-insieme’. Abbiamo da ascoltare e da imparare da tutti perché la verità è sempre sinfonica e poliedrica. Il dialogo profetico è un nuovo nome della missione.
Non teme di confrontarsi con approcci e sensibilità diverse, anzi valorizza la diversità del vivere e del credere come ricchezza da condividere. Così il dialogo interreligioso non teme di confrontarsi con altre espressioni di fede, e il dialogo interculturale sa ascoltare e apprezzare la realtà complessa del vivere umano.
Mi colpisce sempre l’insistenza con cui papa Francesco sottolinei, nei suoi interventi di catechesi o dell’Angelus domenicale, la parola ‘tutti’. Dio ama tutti, accoglie tutti, perdona tutti, va da tutti, fratelli tutti e… spesso ribadisce questo pronome lasciando ampie pause di silenzio come a martellare il termine ‘tutti’, perché penetri in chi lo ascolti. Ci fa così cogliere quanto ci tenga ad essere portavoce di una universalità che includa proprio tutti e non escluda mai nessuno. Dialogare con tutti è la profezia della missione della chiesa di Gesù, mandata a testimoniare ad ogni frontiera che l’incontro fraterno è possibile, a condizione di spezzare le catene, tagliare i fili spinati e abbattere i muri.
Del mio incontro con papa Francesco conservo questa sua parola come un programma di vita:
“Il vangelo è essenzialmente messaggio di fraternità offerto a tutti”.
Padre Gigi Maccalli
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