Non ci siamo ancora, ma la stagione si avvicina. Caldo il pomeriggio e più fresco la notte e all’alba. Dai 40 o più gradi del pomeriggio ai 24 del mattino a Niamey che si sveglia pigramente, cullata dagli appelli alla preghiera dei numerosi altoparlanti delle moschee della città. Lei, la polvere, con fare sornione si lascia intravvedere velando quanto basta la luce del sole e installandosi poi, con la consueta serietà, su tutte le cose e in particolare sullo sguardo.

Sono passati i primi cento giorni dal 26 luglio scorso, ricordato ormai come il quinto colpo di stato nella giovane Repubblica del Niger. Ci si trovava ancora nella stagione delle piogge di quest’anno, irregolari come al solito e mal distribuite. La Protezione Civile ha registrato 51 morti, 80 feriti e 163.690 sinistrati a cui si può aggiungere la perdita di circa 3. 300 capi di bestiame. Adesso, a tre mesi dal golpe, ci troviamo in una stagione di mezzo che prelude l’arrivo dell’inverno del Sahel col temibile Harmattan. Viene chiamato così “il vento del deserto” che coltiva l’autentica polvere da esportazione verso la costa atlantica e talvolta quella mediterranea. La polvere si permette di invitarsi, per ora in sordina.

Le ingiuste e illegali sanzioni economiche della maggior parte dei Paesi che compongono la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, CEDEAO, hanno fin da subito ‘impolverato’ la vita dei nigerini. In particolare, i commercianti, i viaggiatori, i migranti, i rifugiati e, in generale, i più poveri. Dopo i citati 100 giorni dal golpe è difficile intravvedere quali le possibili prospettive che potrebbero disegnarsi nel futuro.

Sappiamo che non c’è futuro senza presente ed è questo che, in fondo conta per la gente comune. In altre latitudini e diversi paesaggi sono stati chiesti sacrifici di ogni tipo, anche umani, per un radioso sole dell’ avvenire che mai ebbe l’occasione di sorgere. La storia umana, lo sappiamo almeno per sentito dire, si presenta troppo spesso come una serie impressionante di promesse mai mantenute e, non raramente, dipinte di sangue innocente. Ecco perché la metafora della polvere conserva tutta la sua particolare pertinenza, soprattutto in questo tempo che taluni chiamano di transizione. Che la politica sia caratterizzata da uno strato di polvere, spesso insostenibile è una cosa nota anche ai non addetti ai lavori.

Sarebbe tragico che la polvere, per ora osservabile soprattutto il mattino e dunque all’inizio del giorno, si installi gradualmente nelle parole, idee e scelte che accompagnano i giorni del tempo attuale del Paese. La polvere sulle parole è forse quella più pericolosa perché, in genere, passa inosservata. L’uso quotidiano di certe parole, in realtà nient’altro che polvere, sono spacciate per verità contante. Quanto alle idee, esse non fanno che portare a compimento quanto le parole di polvere, spesso demagogiche, hanno saputo creare. Infine la polvere avvolge inevitabilmente le scelte che dovrebbero tradurre la politica in giustizia e diritto. Diventa difficile mantenere quanto promesso e promettere quanto è azzardato mantenere. Solo il vento, lucido e temerario quando soffia, potrà riaprire orizzonti nuovi e liberi dalla polvere del tempo.

Padre Mauro Armanino
Niamey

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