Samuel Sidibé è conosciuto da tutti nel suo paese, il Mali. Eppure fino a poche settimane fa ha esercitato una professione che dovrebbe confinarlo in un mondo ristretto di specialisti: direttore del Museo Nazionale di Bamako.

Ma Sidibé è una persona speciale: carismatico, comunicativo, appassionato della storia e della cultura del suo paese.

In 30 anni di lavoro, ha trasformato il Museo in una istituzione di cui ogni maliano va fiero.

Formatosi in etnologia in Francia negli anni ’70 del secolo scorso, ritorna nel suo paese con poche prospettive di impiego. Collabora dapprima con l’Institut des sciences humaines della capitale, e nel 1987 accetta di dirigere il decadente Museo Nazionale, che a quel tempo era ridotto a due piccole sale di esposizione, e in un anno non arrivava a 10.000 visitatori.

Samuel Sidibé scopre la sua vocazione, e immediatamente si getta con entusiasmo nel lavoro. Ottiene un finanziamento dall’Unione Europea e triplica lo spazio espositivo. Moltiplica le partnership con musei europei e americani: un museo tedesco gli finanzia l’acquisto di strumenti musicali, un altro americano una collezione di tessuti tradizionali del Sahel, gli svizzeri lo aiutano a recuperare delle ceramiche antiche.

Poco a poco il patrimonio museale si arricchisce, non solo in quantità, ma soprattutto in qualità.

Ma ciò che l’ha reso celebre e amato nel suo paese è la campagna che ha condotto per far ritornare capolavori dell’arte e artigianato maliano, saccheggiati al tempo del colonialismo, o esportate in modo illegale.

Ha fortemente voluto le Rencontres de Bamako, mostra biennale di fotografia, appuntamento irrinunciabile per i fotografi africani, ma frequentato anche da foto-reporter di fama mondiale perché fucina di idee nuove e originali.

Ha voluto che nel suo Museo, principalmente dedicato all’etnologia e alla storia del suo paese, ci fosse anche una sezione per l’arte contemporanea.

E così si giustificava: “Voglio che i visitatori non abbiano una percezione dell’arte africana solo limitata agli oggetti tradizionali, secondo una concezione eredita dall’epoca coloniale. L’etnologia coloniale ci ha trasmesso il sentimento che tutto ciò che è contemporaneo non è autenticamente africano. Questa etnologia ci voleva racchiudere nel nostro passato, come se le nostre culture non evolvessero, e non comunicassero con altre culture. Nel nostro museo vogliamo rompere questo cerchio vizioso: l’Africa è un continente che ha creato nel passato, ma che continua a creare oggi. Le creazioni dei nostri artisti africani contemporanei sono creazioni autenticamente africane.”

Al di fuori del Mali, si fa promotore di un programma di formazione altamente specializzata per i direttori dei Musei africani, troppo spesso affidati a degli incompetenti.

Arrivato all’età della pensione, ha accettato di passare il testimone, ritirandosi a vita privata. A chi gli chiedeva di prolungare ancora per qualche anno il suo mandato, ha risposto: “Nessuno è indispensabile”.

A cura di P. Marco Prada, da un reportage di Le Monde-Afrique

Foto: mali-express.com; wikipedia; musicinafrica.net