È iniziata la campagna di vaccinazione contro il virus Ebola a Mbandaka, la città della Repubblica Democratica del Congo, dove si è verificato il primo caso urbano di infezione. A Mbandaka vivono 1,2 milioni di abitanti, e sono già 3 le persone a cui è stata diagnosticata l’infezione di Ebola. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha fatto arrivare in Congo 4.000 dosi di vaccino.

I primi ad essere vaccinati saranno i medici e gli infermieri dell’ospedale Wangata, dove sono curati i malati di Ebola, poi tutte le persone che hanno avuto un contatto con i malati e con coloro che si sono occupati di loro, ma anche gli addetti delle pompe funebri che hanno l’ingrato compito di occuparsi dei cadaveri.

La nuova epidemia di Ebola si è manifestata l’8 maggio scorso nella zona rurale di Bikoro, Provincia congolese dell’Equateur, coperta da dense foreste tropicali, di difficile accesso a causa delle strade sterrate in pessime condizioni. Il fiume Congo non è lontano, come pure la frontiera con la vicina Repubblica del Congo. Dopo la morte sospetta di 17 persone che presentavano i sintomi di Ebola, forti  febbri con emorragie, sono stati effettuati dei test, risultati poi positivi.

Dal 1976 questa è 9a volta che la  malattia si manifesta in zone rurali delle regioni equatoriali del Congo. Finora le autorità sanitarie erano riuscite a circoscrivere rapidamente il contagio. Ma questa volta l’infezione ha raggiunto una città. La paura ora è di perdere il controllo dell’epidemia.

A Mbandaka e Bikoro si rivedono scene a cui nessuno avrebbe mai più voluto assistere: operatori sanitari rivestiti delle tute anti-contagio di color giallo, con stivali neri di gomma, le mani protette da pesanti guanti verdi, si spruzzano i piedi con liquido disinfettante, prima di accedere all’ala delle quarantena. È una grande tenda di 100 metri quadrati, circondata da un nastro bianco e rosso, da cui non si può uscire e entrare senza prima compiere scrupolosamente i riti della sterilizzazione.

Il virus di Ebola è estremamente contagioso, e la prima cosa da fare è di isolare le persone infette, come pure di mettere in severa quarantena tutte le persone che hanno avuto dei contatti con costoro.

Al momento sono una cinquantina le persone infette ricoverate, e 26 quelle già decedute. L’OMS, non appena i test hanno rilevato la presenza del virus di Ebola, hanno messo a disposizione del Ministero della Salute congolese una squadra di 35 esperti di vaccinazione, 16 dei quali già impegnati nella precedente epidemia in Africa occidentale. L’OMS ha dichiarato che il vaccino usato è del tipo  rVsv-Zebov, messo a punto dall’Agenzia di Salute Pubblica del Canada e prodotto dalla Merck. È già stato sperimentato su 16.000 volontari in Europa, Usa e Africa, ed è stato giudicato sicuro per l’uso umano. In Guinea il vaccino è stato testato su 7500 adulti nel 2015 durante l’epidemia, ed è stato giudicato protettivo.

È considerato dall’OMS un vaccino ancora sperimentale, per cui chi lo riceverà dovrà dare il suo esplicito consenso. Inoltre deve essere conservato a una temperatura costante di -60°: un problema per un paese che non dispone di una fornitura regolare di energia elettrica.

Esistono attualmente anche 4 terapie sperimentali disponibili per curare chi ha contratto Ebola, studiate in gran parte durante l’epidemia del 2014-15 in Guinea, Liberia e Sierra Leone. Quella in stato più avanzato di sviluppo è lo Zmapp, un cocktail di anticorpi monoclonali: è già pronto per l’utilizzo sul campo.

Il deputato congolese della circoscrizione di Bikoro, Bavon N’Sa Mputu Elima, ha dichiarato ai giornalisti di AFP che la popolazione è ancora troppo legata a credenze popolari e superstizioni, che non favoriscono una pronta reazione all’epidemia. Sono numerosi coloro che credono che Ebola sia l’opera della magia nera di stregoni. Per proteggersi bisognerebbe quindi ricorrere agli sciamani, che hanno il potere di neutralizzarli. Queste convinzioni distraggono la popolazione dalle più elementari norme di igiene e di prevenzione, propagandate da autorità e mass-media. Ci sono anche delle sette pseudo-cristiane che, con fini di proselitismo, dichiarano di avere dei rimedi spirituali contro Ebola, e invitano i parenti dei malati a non portarli all’ospedale, ma nei loro luoghi di culto. È comprensibile che questa confusione preoccupa le autorità sanitarie, perché rischia di compromettere gli sforzi per circoscrivere con efficacia e rapidità l’epidemia.