L’80% dei tagli di alberi in Africa è fatto al di fuori della legge e del controllo degli Stati. Sono cifre dell’istituto inglese di studi internazionali Chatham House. Un altro organismo, Traffic, denuncia dei crimini associati con il traffico del legname: il lavoro e la prostituzione minorile.

Il mercato del legname è dominato dalla corruzione e dalla mancanza di scrupoli. In più, affermano i ricercatori di Chatam, le leggi statali si scontrano con le consuetudini e le regole fondiarie locali. I capi tradizionali si dicono proprietari di boschi e foreste e insieme alle loro popolazioni si lasciano allettare dalle promesse delle società del legname (costruzione di una scuola, un ambulatorio o di un ponte, scavo di pozzi), e cedono loro i diritti ancestrali.

Manca ancora una coscienza diffusa sui rischi ambientali della deforestazione. In Paesi in conflitto, come il Centrafrica, il legname diventa poi un mezzo con cui i capi-milizia si procurano il denaro per rifornirsi di armi.

Ma c’è un altro fenomeno associato, denunciato da Traffic, una rete di associazioni ambientaliste africane con sedi a Pretoria e Yaoundé: lo sfruttamento dei minori maschi nei duri lavori di abbattimento e delle minori femmine nella prostituzione, praticata negli accampamenti in foresta.

Un caso preso in esame da Traffic è il Madagascar. Da alcuni anni il governo ha istituito una moratoria nel taglio delle essenze, e ciò ha provocato un aumento esponenziale dei siti illegali di abbattimento, in cui si lavora con strumenti di lavoro rudimentali e l’uso di manodopera minorile. Gli infortuni sono frequenti, ma vengono tenuti nascosti.

Un altro caso esaminato è la Namibia: è un paese con poca copertura boschiva, e quindi con una forte richiesta di carbone prodotto da legna. Nella regione del Kavango si è stabilita una mafia del carbone, che impiega minori, arruolati mediante la concessione di prestiti. Per rimborsarli, i ragazzi devono accettare di lavorare per lunghi periodi nella produzione del carbone, in siti boschivi molto distanti dalle loro abitazioni, dove sono obbligati a vivere in condizioni opprimenti e miserabili. Alle ragazze viene promesso un lavoro domestico in questi accampamenti, ma poi sono obbligate a praticare la prostituzione.

Global Witness è una Ong che monitorizza lo sfruttamento illegale delle risorse naturali nel Sud del Mondo e organizza campagne per denunciare l’uso che ne fanno milizie e governi per finanziare conflitti e guerre. Un suo studio recente si concentra sul caso della RD del Congo.

In questo paese lo sfruttamento del legname delle sue immense foreste tropicali è praticato in un regime di vera anarchia, dove l’unica regola è la corruzione sistematica. Chi ne trae i più lucrosi vantaggi è la società Norsudtimber, un’ermetica scatola cinese basata in Lussemburgo, con capitali principalmente francesi e portoghesi, ma con filiere finanziarie che si ramificano fino a Hong Kong e Dubai. Essa opera in Congo per mezzo di 3 imprese sussidiarie, che hanno concessioni su 40.000 km2 di foreste, e controllano il 60% del legname congolese esportato. Global Witness fornisce le prove che il 90% delle sue concessioni sono state ottenute illegalmente, con la corruzione e l’inganno. Questa vera “Cosa Nostra del legname” non si preoccupa nemmeno di rispettare quelle essenze dichiarate specie in pericolo di estinzione. Il governo congolese è certamente complice, perché per favorir la Norsudtimber, ha declassato persino ampie porzioni del Parco nazionale del Virunga.

Global Witness punta il dito anche al governo francese e alla sua “Agenzia Nazionale per lo Sviluppo, uno degli organi del Ministero degli Esteri che coniuga allegramente cooperazione e  affari. Nel marzo scorso, la Francia ha offerto al Congo 18 milioni di dollari un progetto, che nominalmente vorrebbe inaugurare un modo nuovo di gestione delle foreste, ma che, secondo Global Witness, estenderebbe le aree forestali destinate al taglio a superfici fino a tre volte più grandi di quelle attuale. Beneficiarie, naturalmente, imprese transalpine…

a cura di p. Marco Prada

Foto: prese da internet, nei siti di organizzazioni ambientaliste, tra quelle libere da copyright. Se però qualcuno vantasse dei diritti, ce ne scusiamo, e su sua segnalazione rimuoveremo immediatamente la foto.