Mustapha Sallah è nato 26 anni fa in Gambia, un paese fino all’anno scorso oppresso dal regime dittatoriale di Yahya Jammeh. Un regime brutale, che ha costretto centinaia di migliaia di gambiani a trovare rifugio e asilo politico all’estero, in Africa e in Europa. In proporzione con la sua popolazione, la comunità gambiana emigrata in Europa è la seconda in termini numerici.

Anche Mustapha Sallah ha tentato l’emigrazione dal suo paese, ma ha trovato condizioni ancora più terrificanti in Libia, dove invece del barcone per Lampedusa, ha fatto l’esperienza della prigione. È sopravvissuto, e questo è già una grazia di Allah, dice. Molti altri immigrati africani, incarcerati insieme a lui, sono morti di torture, percosse, fame. Morti e spariti per sempre dal ricordo.

Ma Mustapha Sallah ha un carattere forte e resiliente, ed è riuscito a sfuggire agli aguzzini libici. L’Oim, Organizzazione Mondiale delle Migrazioni lo ha messo su un volo di ritorno per il suo Gambia. Tra il gennaio 2017 e il luglio 2018 l’Oim ha rimpatriato con voli umanitari 2.674 gambiani. La maggior parte di loro sono giovani che non hanno perso la speranza di un futuro migliore, un futuro che non sia solo la riproduzione della storia recente del Gambia, fatta di violenza, soprusi, tirannia, fame, disoccupazione.

Mentre era in carcere, riflettendo sulla sua esperienza di migrazione, Mustapha Sallah ha fondato, insieme ad altri gambiani, YAIM: “Youths Against Irregular Migration”, Giovani contro la Migrazione Irregolare. Non voleva che altri giovani gambiani cadessero nelle trappole dell’illusione  e dell’inganno come era capitato a lui. YAIM oggi usa alcuni spazi offerti da emittenti radio locali del Gambia, ma anche i social media, per diffondere il suo messaggio: la Libia è un miraggio mortale.

Le trasmissioni di Mustapha provocano la reazione di molti ritornati dall’inferno della Libia, come quell’ascoltatore che si rivolge risoluto a chi sta pensando al viaggio nel deserto: L’Italia è già piena, hanno chiuso le porte a noi immigrati. Riflettete: ci sono molte cose belle che potete fare qui!” Un messaggio che non lascia nessuno indifferente.

“In Gambia è la prima volta che un gruppo di ritornati ha il coraggio di dire tutta la verità sul viaggio verso l’Europa, dice Mustapha. Noi cerchiamo di scoraggiare i giovani a farlo. Noi siamo andati là, abbiamo visto, abbiamo sperimentato tutto il male che può capitare a un migrante, e quando parliamo, questi giovani ci ascoltano, perché sanno che siamo al loro stesso livello.”

Saihou Tunkara, anche lui membro di YAIM, continua: “Se avessi avuto un po’ di aiuto qui in Gambia, non avrei intrapreso il viaggio. In Gambia nessuno si occupa di dare un’opportunità di impiego a noi giovani. Ma quando uno decide l’avventura del deserto e del Mediterraneo, ecco che appaiono amici e parenti che ti danno dei soldi. Sperano che tu faccia fortuna in Europa, e li ripaghi con gli interessi!”. Oggi Saihou ringrazia l’Oim che, con il progetto “I’m Not for Sale” (Io non sono in vendita), gli ha permesso di seguire un corso da barbiere e di aprire la sua bottega.

Il problema dei familiari e dell’entourage che spinge i giovani a intraprendere il viaggio è molto serio:Cambiare la mentalità di chi finanzia il tuo viaggio, parenti e amici, è la cosa  più difficile, dice ancora Saihou. Non hanno fiducia in ciò che un giovane può fare qui in Gambia. Noi abbiamo creato YAIM in prigione. Lì abbiamo sperimentato la solidarietà non solo tra di noi, ma soprattutto verso i giovani che in Gambia stanno ancora sognando di fare il viaggio. Ciò che abbiamo sperimentato noi, non lo auguriamo neppure al nostro peggiore nemico”.

Un altro membro di YAIM, Ndow, incalza: “In Libia siamo stati trattati come schiavi, per mesi non ci siamo potuti lavare, e appena uno accennava a una richiesta o dava il sospetto di tentare la fuga, era picchiato senza pietà. Ho conosciuto Mustapha che non poteva reggersi in piedi, talmente lo avevano torturato. È lì che ho deciso di unirmi a lui per far prendere coscienza ai nostri connazionali che il viaggio nel deserto è una pazzia”.

E una ragazza, che non vuole rivelare il nome, confida: “Io sono stata venduta non so quante volte, e potete immaginare per fare che cosa. Per noi donne i maltrattamenti sono ancora peggiori in Libia”.

Pa Modou Jatta, è membro di un’altra associazione di ritornati, RFTB, “Returnees From The Backway”, i ritornati dal viaggio nel deserto: “Dopo le torture e i lavori massacrati in Libia, dobbiamo subire ancora i giudizi negativi di chi ci ha visti tornare, e questo aumenta la nostra frustrazione. Ti fanno sentire uno che ha tradito le aspettative della tua famiglia, che credeva divenissi un tipo importante in Europa”.

A RTFB è stato attribuito un appezzamento di terreno dalle autorità locali, dove creare una fattoria. Chi non si intendeva di agricoltura e allevamento ha seguito un corso finanziato da un programma dell’Unione Europea: “Ci è stata data l’opportunità di dimostrare che possiamo fare ancora qualcosa di bello nella vita”.

Il cambio di regime in Gambia, con l’elezione democratica di Adama Barrow, ha ridato fiducia e speranza ai giovani, che vedono aprirsi prospettive economiche nuove.

La storia di Mustapha Sallah e le foto sono riprese da un articolo di Louise Hunt, pubblicato da Irin, agenzia di notizie, che si definisce “una voce indipendente e autorevole dalla linea del fronte delle crisi umanitarie”