Il 2019 segna un anno importante per molte nazioni africane. L’assetto politico-istituzionale di vari Paesi, come il Sudafrica, la Tunisia, la Libia, la Nigeria, il Senegal, l’Algeria, potrebbe infatti mutare per effetto delle elezioni che si terranno nei prossimi mesi. Vediamo insieme i vari scenari.

Algeria

 AFP PHOTO / RYAD KRAMDI

In aprile si svolgeranno le elezioni in Algeria, alle quali potrebbe candidarsi per il suo quinto mandato Abdelaziz Bouteflika. La notizia della sua partecipazione alle votazioni algerine non è ancora confermata ufficialmente, sebbene Djamel Ould Abbes, figura di spicco dello partito di Bouteflika, ovvero il Front de libération nationale (Fronte di Liberazione Nazionale, FLN), abbia dichiarato il sostegno a tale candidatura da parte dei dirigenti e dei militanti del FLN. Bouteflika (classe 1937) ha 81 anni e ricopre la carica di Presidente della Repubblica di Algeria da due decenni. Il suo primo mandato lo ottenne nel 1999. Tanti, ancora, i suoi sostenitori nel Paese. Tra questi vi è anche l’Unione generale dei lavoratori, importante sindacato algerino che ha messo in evidenza i risultati della politica di Bouteflika sul piano occupazionale ed economico. Bouteflika, nonostante l’età e le condizioni di salute cagionevoli dopo l’attacco cardiaco che lo ha colpito nel 2013, rimane per tanti algerini colui che ha saputo traghettare il Paese verso una riconciliazione nazionale, dopo i sanguinosi anni della lunga guerra civile (1992-2002). Tuttavia, esiste un forte malcontento verso la politica economica attuata dal governo negli ultimi anni.

Le misure di austerità hanno infatti scatenato proteste e scioperi tra il 2017 e il 2018, organizzate in varie città e in regioni periferiche come la Cabilia settentrionale. La crisi economica dell’Algeria che la sta portando alla recessione è dovuta in parte alla forte diminuzione della produzione di idrocarburi (gas naturale e petrolio). Anche altri settori, come quello manifatturiero, sono oggetto di una forte decrescita. Dati negativi mitigati dall’andamento positivo nel settore delle miniere e in quello dell’industria agroalimentare. In un contesto così instabile l’Algeria si appresta a organizzare elezioni in cui manca una reale opposizione, quasi silenziata per effetto dei numerosi arresti perpetrati a danno di giornalisti e difensori dei diritti umani. Prima delle elezioni presidenziali del 2014 in Algeria regnava un clima di tensione, in cui i movimenti di opposizione (come quello chiamato Barakat) venivano più o meno direttamente soffocati. A vedere ciò che sta accadendo nelle ultime settimane, sembra che si vogliano ancora zittire le voci desiderose di un cambio di politica e di governo in Algeria.

Nigeria

Anche nel “paese dell’oro nero” l’attuale Presidente, il generale Muhammadu Buhari, 76 anni, si ripresenterà alle elezioni generali indette per il 16 febbraio. Come nel caso di Bouteflika, Buhari si trova in uno stato di salute che desta preoccupazione. Anche il suo oppositore non rappresenta un volto nuovo per i nigeriani. Si tratta di Atiku Abubakar, 72 anni, uomo d’affari molto influente, tra le figure più ricche della nazione, che ha promesso di creare tre milioni di posti di lavoro e di aiutare milioni di nigeriani ad uscire dalla povertà. Proprio come sta accadendo in Algeria, anche in Nigeria si assiste a una crisi degli idrocarburi, in questo caso del solo petrolio, l’oro nero che ha arricchito pochi nigeriani e poche multinazionali straniere. Proprio come in Algeria, i cittadini nigeriani si sono visti aumentare le tasse.

Chi diverrà Presidente dovrà in ogni caso fare i conti con il risveglio di Boko Haram. Questo gruppo terrorista sta moltiplicando gli attacchi in Nigeria, in particolare nello Stato di Borno, nel nord-est del paese, al confine con il Ciad e il Niger. Le violenze hanno costretto oltre 30mila persone ad abbandonare le proprie case. I gruppi di Boko Haram stanno colpendo soprattutto le basi militari e i soldati stanziati nelle zone di Borno e di Yobe. Colpendo queste aree sensibili, i jihadisti si impadroniscono di armi, munizioni e veicoli militari. Ciò aumenta la loro forza, rinvigorita dal traffico di armi provenienti da altre nazioni africane. Il futuro Presidente della Nigeria dovrà confrontarsi con la crisi petrolifera e con la rinascita di Boko Haram.

Sudafrica

 (Photo by Gallo Images / Beeld / Denzil Maregele)

 

Nel 2019, anche la nazione “arcobaleno” andrà al voto. La presidenza di Jacob Zuma, durata circa dieci anni, ha lasciato un paese economicamente in crisi. Dopo le sue dimissioni forzate nel febbraio 2018 per l’accusa di corruzione, Cyril Ramaphosa lo ha sostituito, riuscendo a ridare all’African National Congress (ANC) un maggior appoggio popolare, nonostante la disoccupazione elevata (il livello è quasi al 28%). In queste elezioni generali, che dovrebbero tenersi nel mese di maggio, i principali partiti di opposizione all’ANC sono la Democratic Alliance (DA) guidata da Mmusi Maimane (classe 1980), e il movimento Economic Freedom Fighters guidato da Julius Malema. Grazie al carisma di Ramaphosa i sondaggi già danno per vincente la linea politica dell’ANC.

Senegal e Tunisia

Le elezioni presidenziali in Senegal sono previste per il 24 febbraio. Il Consiglio costituzionale del Senegal ha pubblicato la lista con i nomi dei cinque candidati ammessi alle votazioni, ovvero Macky Sall, attuale Capo di Stato, Ousmane Sonko, dell’ex premier Idrissa Seck, Madické Niang, e infine di El Hadji Issa Sall, candidato del Parti de l’unité et du rassemblement. Non sono stati ammessi i due principali oppositori di Macky Sall: Karim Wade e Khalifa Sall.

Ancor più delicata è la situazione in Tunisia, dove il malcontento popolare è forte. Un malcontento dovuto anche qui alla crisi economica caratterizzata da un’alta inflazione e da un’altrettanto elevata disoccupazione. In Tunisia, l’inquietudine sociale è sfociata in atti drammatici. La vigilia di Natale 2018 il giovane reporter Abderrazak Zorgui si è dato fuoco. Un gesto simbolico che richiama altri drammi in altri luoghi e che mette in luce la disperazione della gente. Se, da un lato, la Rivoluzione dei Gelsomini è riuscita ad allontanare Ben Ali dal potere (era il 14 gennaio 2011) e a migliorare, in parte, i diritti delle donne, dall’altro, non è sfociata nelle riforme politiche e nello sviluppo economico auspicati. Le elezioni previste per il mese di dicembre 2019 sono già avvolte da tante ombre, tra cui l’astensionismo e l’aumento degli atti di terrorismo.

Libia, un caso a parte

Non solo l’Onu, ma anche varie figure libiche tra cui Saif al-Islam Gheddafi, figlio dell’ex leader libico Muammar Gheddafi, rivendicano al più presto elezioni parlamentari e presidenziali. Ma è dal 2011 che la Libia rimane nel caos. La frammentazione politica interna è alimentata dagli enormi interessi che ruotano attorno al petrolio e al gas libico.

Tra gli attori stranieri attenti alle elezioni in Libia (e al dopo elezioni) vi sono la Francia e l’Italia, nazioni che hanno una differente visione legata al progetto di riconciliazione e unità della Libia (anche per gli opposti interessi delle loro rispettive compagnie petrolifere/di idrocarburi). Ma in Libia sono coinvolti anche altri attori economici e non, che ruotano attorno alla Russia, agli USA e agli Emirati Arabi.

È proprio da ciò che accade e accadrà in Libia che dipendono le sorti dei vicini Niger e Ciad. Luoghi di “frontiera” che costituiscono le zone dove passa la rotta dei trafficanti di esseri umani. Se non si stabilizza la Libia il caos continuerà a imperare anche oltre i suoi confini.

Silvia C. Turrin

Foto: Benin web tv; Daily post Nigeria; Global research

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