Alla guida di un 4×4, il cardinale Dieudonné Nzapalainga ha viaggiato su piste sterrate che i vescovi cattolici non percorrevano da dieci anni. Lo ha fatto, spiega al suo rientro a Bangui in un’intervista rilasciata all’agenzia Dire nella sede dell’arcivescovado, per incontrare le comunità cristiane e i rappresentanti islamici del nord della Repubblica Centrafricana. Ma anche, sottolinea, “per condividere i contenuti dell’accordo di pace firmato a febbraio nella capitale sudanese Khartoum e compiere un’opera di sensibilizzazione con i capi dei gruppi ribelli”.
All’ingresso della parrocchia di Saint Paul, un murale lo rappresenta insieme a Papa Francesco, accanto a una colomba bianca e a un cristiano e un musulmano che si abbracciano come fratelli. Il dipinto è una testimonianza del Giubileo straordinario della misericordia, aperto dal Pontefice proprio a Bangui il 29 novembre 2015, ma anche un auspicio per il futuro di un Paese dalle tante anime, sul piano sia religioso che culturale.
Nzapalainga, 51 anni, era divenuto il cardinale più giovane del mondo nella fase più drammatica del conflitto civile nel suo Paese. E, pochi giorni fa, ha raggiunto in auto proprio le regioni a maggioranza musulmana roccaforte dell’alleanza Seleka che nel 2013 aveva marciato su Bangui costringendo alla fuga il presidente Francois Bozizé.
“Ho parlato due ore e mezzo con Abdoulaye Issen, capo del Front populaire pour la renaissance de la Centrafrique, una delle milizie che sfuggono al controllo del governo, che mi ha accolto circondato dai suoi uomini armati fino ai denti” racconta oggi il cardinale. “Volevo accertarmi che il messaggio di pace fosse stato compreso, perché le comunità di quella regione sono talmente isolate da non sapere ciò che accade e da credere ai capi ribelli come fossero guru”.
A Bria, a Ndelé e a Birao il cardinale Dieudonné Nzapalainga è arrivato in automobile, non in aereo come fanno le delegazioni internazionali che di tanto in tanto si spingono nel nord.
“Ho constatato di persona quanto sia devastante quella pista sterrata, l’unica che c’è” riprende Nzapalainga. “Tra qualche settimana, senza neanche un ponte, con la fine della stagione secca il nord tornerà semplicemente irraggiungibile”.
Il racconto prosegue, con i “centri sanitari in condizioni pessime e i bambini dimenticati, senza scuole e senza insegnanti”. Poi un monito: “C’è tanta miseria, mentre non c’è lo Stato; bisogna stare attenti perché si rischia una nuova rivolta”.
Ma l’accordo di pace, con la promessa di un “governo inclusivo”? “L’intesa prevede l’entrata in carica di un nuovo primo ministro” risponde il cardinale.“Peccato solo che il presidente Faustin Archange Touadera l’abbia scelto tra i suoi collaboratori più stretti”.
La tesi è che ci siano interpretazioni differenti dell’accordo: “Nell’ultimo mese si sono verificati episodi di violenza nonostante l’articolo 30 dell’intesa prescriva che, in caso di ostacoli alla sua attuazione, non bisogna ricorrere alle armi ma appellarsi alla comunità internazionale”.
Nzapalainga, però, è convinto che anche la comunità internazionale abbia le sue responsabilità: “Deve porre fine al traffico delle armi, che continuano ad arrivare ai ribelli dal Sudan o dalla Libia, dal Ciad o dal Darfur”.
E l’embargo sulle forniture militari imposto dall’Onu nei confronti di Bangui? “Il governo eletto è legittimo e l’esercito dovrebbe essere messo in condizione di poter proteggere i cittadini”, sottolinea il cardinale. Che parla poi di diamanti, insanguinati, un altro ostacolo sulla via della pace: “I ribelli li vendono in cambio delle armi, che attraversano le frontiere e alimentano la guerra”.
Vincenzo Giardina, Agenzia DIRE