Vi propiniamo una rassegna di articoli, pubblicati recentemente su internet, sui temi di Giustizia, Pace e Protezione del Creato. Abbiamo scelto il tema della minaccia islamista in Africa Occidentale, con casi dal nord-est della Nigeria, dal nord del Niger e dalla Costa d’Avorio. Come corollario un interessante contributo sull’indottrinamento alla violenza degli alunni dei territori ex-ISIS. E poi un articolo sull’azione della chiesa per eliminare l’inquinamento da plastica in Uganda, e la vicenda della nave inviata a Genova dall’Arabia Saudita per caricare armi destinate alla guerra nello Yemen.

Vi segnaliamo anzitutto due recenti rapporti della Ong International Crisis Group, basata a Bruxelles e Dakar, che produce rapporti di geopolitica, basati su analisi sul terreno, indipendenti dai governi e da lobby politiche, che hanno il fine di prevenire i conflitti, approfondendo le cause che possono provocarli.

Le nuova sfida dello Stato Islamico nella regione dell’Africa occidentale: come affrontarla?

Una breve sintesi di questo primo rapporto.

La fazione scissionista di Boko Haram, denominatasi “Stato islamico nella provincia dell’Africa occidentale” (ISWAP), sta crescendo in potenza e influenza nella Nigeria nord-orientale, nella regine attorno al lago Ciad. Si è fatta forte dei suoi successi militari e dei rapporti di fiducia instaurati con la popolazione dove opera.

Scava pozzi, protegge dai furti di bestiame, fornisce un minimo di assistenza sanitaria e talvolta punisce i militanti colpevoli di commettere abusi sui civili. Nelle comunità controllate, la sua tassazione è generalmente accettata dai civili, che la accettano come condizione per creare un ambiente favorevole al commercio e all’esercizio dell’economia,  e giudicano il suo modo di governare migliore di quello dello stato nigeriano.

E ciò ha pagato in termini di reclutamento: le fonti di International Crisis Group stimano in 3.500-5.000 i sui nuovi membri provenienti dai giovani dalla regione. E le perdite dell’esercito nigeriano sono aumentate.

ISWAP si ispira all’organizzazione statale islamica che l’ISIS ha tentato inutilmente di instaurare in Siria e Irak. Gli analisti di International Crisis Group suggeriscono al governo nigeriano di non contrastare l’ISWAP solo con la forza militare, ma di migliorare il modo di governare e di collaborare con la popolazione, raccomandano di punire gli abusi dei militari, e di migliorare la sicurezza dei cittadini nelle città sotto il controllo governativo.

Inoltre, nello sforzo di interrompere l’accesso di ISWAP ai mercati locali, il governo non deve   alienarsi la simpatia della gente del posto, strangolando le reti commerciali locali. Inoltre, in una prospettiva realistica, si dovrebbero tenere aperte le linee di comunicazione con ISWAP. Queste strategie possono aiutare sul lungo periodo a vincere i terroristi, canalizzando il sostegno importante delle comunità nella regione ed erodendo lentamente l’organizzazione dei terroristi.

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Di ritorno dalla Terra della Jihad: il destino delle donne legate a Boko Haram

Il secondo rapporto di International Crisis Group. Ecco una breve sintesi:

Boko Haram non è un  movimento esclusivamente maschile; al contrario tra le sue file si conta un gran numero di donne. Molte di esse sono state rapite, come le ragazze di Chibok.. Ma altre si sono unite volontariamente. Alcune hanno subito abusi terribili durante la loro permanenza nel gruppo armato, mentre altre vi hanno trovato un senso di appagamento o appartenenza.

Il lungo scontro dell’esercito nigeriano contro Boko Haram ha portato in questi anni decine di migliaia di queste donne a tornare nelle città del nord-est controllate dal governo.

La maggior parte delle ex donne di Boko Haram continua a soffrire di ostracismo, per il passato di appartenenza al movimento terrorista e i sospetti che suscitano. E corrono maggiori rischi di abusi sessuali e privazioni rispetto ad altre donne sfollate.

Ma il loro disagio può diventare una delle cause che alimentano il conflitto: sia perché, deluse, potrebbero tornare a Boko Haram, e risollevare il morale dei jihadisti, oltre che dare il loro contributo a nuove operazioni militari; sia perché la loro condizione può scoraggiare i ribelli maschi inclini a smobilitare.

Il successo del reinserimento delle ex donne di Boko Haram può inviare dunque un segnale molto forte ai loro mariti combattenti, alcuni dei quali stanno considerando di arrendersi. Al contrario, i loro maltrattamenti non solo potrebbero dissuadere gli uomini dalla smobilitazione, ma anche indurre le donne a tornare nelle file degli insorti.

Cosa si dovrebbe fare? Il governo nigeriano dovrebbe proteggere meglio le donne rimpatriate dagli abusi, sessuali e di ogni tipo; dare a loro e alle comunità maggior voce in capitolo nel loro reinsediamento; evitare trattamenti discriminatori tra donne ex-Boko Haram e donne del posto; e aumentare i finanziamenti per lo sviluppo del nord-est, in particolare nel campo dell’educazione.

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“Zona rossa”: le lacrime di Agadez

I giornalisti francesi Morgane Witz e Umar Sani, del sito point.fr, hanno visitato la città di Agadez, nel nord del Niger. Dopo che la Francia l’ha classificata come “zona rossa”, il turismo e le sue fonti di reddito si sono esauriti, e la popolazione non vede altro avvenire se non la migrazione.

Alcuni estratti:

Il Ministero degli Affari Esteri francese ha designato la regione di Agadez, nel nord del Niger, come “zona rossa”, cioè ad alto rischio per i suoi cittadini, lavoratori o turisti. Situata alle porte del deserto del Sahara, Agadez è un susseguirsi di strade tortuose e muri di mattoni. Le case sono decorate con motivi tuareg. Il minareto della grande moschea risale al 16 ° secolo. Gode di una vista che si estende fino al deserto e alle montagne dell’Aïr. Gli abitanti, ricoperti da splendidi turbanti o pagne in mille colori, sono felici di accogliervi e offrirvi un tè. Perla del deserto nel cuore del Sahel, Agadez è un patrimonio mondiale dell’UNESCO.

Fino al 2007, questa città, tappa del rally Parigi-Dakar, viveva principalmente di turismo. Quell’anno scoppiò la seconda ribellione dei Tuareg. Nel 2010, sette impiegati delle compagnie francesi Areva e Satom sono presi in ostaggio ad Arlit, a 240 chilometri da Agadez. Da allora, il Quai d’Orsay ha classificato due terzi della regione nella “zona rossa”. Sul sito web del Ministero degli Affari Esteri, soggiornare in città è “sconsigliato a meno che la ragione imperativa” e i viaggi nella regione siano “formalmente sconsigliati”. Di conseguenza, le attività turistiche sono bloccate.

Ma gli abitanti, che hanno visto esaurirsi le loro fonti di redito,non sono d’accordo: “A dicembre, dei turisti italiani sono passati di qui. Hanno fatto il viaggio da Agadez al Ténéré, nell’Aïr. È andato bene Erano così felici “, dice Habou. Per lui, come per molti suoi concittadini, la classificazione della regione in “zona rossa” è inappropriata. “Agadez è sicura”, ha detto Aghali Barka, consigliere per la sicurezza del Primo Ministro.

La mancanza di reddito rende le persone frustrate: “Non possiamo restare qui”, avverte Habou Hato. “Europa, tu dici che stai combattendo contro la migrazione, ma è sbagliato. Si crea la migrazione. Cosa vuoi che facciamo? Moriremo qui? Non è possibile. Migreremo ad altri paesi “.

Leggi l’articolo nel sito di lepoint.fr

La minaccia jihadista preme sulla Costa d’Avorio e il Ghana

Aumenta il dispiegamento di forze militari ai confini con Burkina Faso e Mali

Dopo il rapimento di due turisti francesi nel nord del Benin da parte dei jihadisti del Sahel, i paesi affacciati sul Golfo di Guinea  si sentono più vulnerabili agli attacchi dei militanti islamici. Ghana, Costa d’Avorio, Benin e Togo, rafforzano la sicurezza lungo i loro confini con il Burkina Faso, un paese che in questi primi mesi dell’anno è l’obiettivo di ripetuti attentati e rapimenti.

Dopo la destabilizzazione di questo Paese, il prossimo passo dei militanti potrebbe essere quello di “aprire nuovi spazi di influenza” nei suoi vicini meridionali, afferma Rinaldo Depagne, project manager per l’Africa occidentale presso International Crisis Group. “Questi gruppi stanno probabilmente cercando di entrare in questi paesi, approfittando della confusione che si crea ai confini dopo i loro attacchi”.

La stabilità delle economie in più rapida crescita del continente è in gioco. La reazione di questi Paesi è di aumentare la sicurezza ai loro confini settentrionali, dispiegando migliaia di militari.

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Scontri etnici  in Costa d’Avorio

Sempre in Costa d’Avorio, il 17 maggio di sono registrati dei violenti scontri intercomunitari a Beoumi, nel centro del Paese.  La causa è un alterco tra due membri di diverse comunità, quella autoctona baulé, e quella malinké, composta di immigrati del nord-ovest del Paese. Almeno 9 persone sono state uccise, e 24 sono state ferite, alcune in modo grave. Gli scontri tra comunità, a volte mortali, sono frequenti in Costa d’Avorio, un paese di circa 25 milioni di abitanti con circa 60 comunità. Il Paese non si è ancora completamente ripreso dalle conseguenze della guerra civile degli anni 2002-2011, che ha diviso il Paese tra nord e sud, ed ha accentuato la rivalità e l’incomprensione etnica.

Paesi confinanti con la Costa d’Avorio, il Mali e il Burkina Faso, hanno registrato nei mesi scorsi gravi episodi simili, in cui scontri tra comunità di etnie diverse hanno provocato decine di morti. Gli analisti vedono dietro questi scontri la mano dei gruppi jihadisti, che hanno tutto interesse a degradare e  ad accentuare la conflittualità locale, e a mettere in difficoltà i governi e le forze dell’ordine.

Leggi l’articolo nel sito di Le Monde

Come esempio vi segnaliamo l’estratto di un’intervista all’analista francese di politica internazionale Jean-François Bayart, che parlando dell’aumento della pressione jihadista su alcuni Pesi del Sahel, afferma: Sotto l’apparenza del jihad, nel Sahel si sta conducendo una guerra agraria nel contesto dell’accumulazione primitiva del capitale, in particolare della terra, e nel contesto di un aumento delle disuguaglianze sociali, di cui è vettore lo Stato, dal tempo della colonizzazione.”

Leggi l’intervista a Bayart

L’indottrinamento alla violenza degli alunni sotto l’ISIS

Come corollario a questi articoli sul terrorismo islamico in Africa occidentale, vi segnaliamo questo interessante contributo pubblicato sul sito The Defense Post, un news-outlet specializzato in informazione, analisi e commenti su argomenti di difesa e sicurezza internazionale, di proprietà dell’organizzazione americana The Globe Post Media, che controlla una cinquantina di siti di informazione.

Robert Postings analizza i libri di testo per la scuola elementare che erano stati introdotti nei territori occupati dall’ISIS.

Alcuni estratti dell’articolo:

L’ISIS considerava l’istruzione come uno strumento fondamentale per raggiungere i suoi obiettivi, e la scolarizzazione è stata sfruttata per indottrinare un’intera generazione che viveva sotto il loro controllo. L’ISIS ha voluto rettificare ciò che considerava un sistema educativo “improprio”, e ha deciso di implementare un programma interamente nuovo con i propri materiali didattici. Soggetti come l’arte e la musica furono tagliati, mentre i libri di testo esistenti furono alterati per portarli in linea con le opinioni del gruppo.

Era impossibile per il gruppo reclutare e formare nuovi insegnanti con il tempo e le risorse che aveva, quindi l’ISIS ne manteneva molti che già vivevano nel suo territorio ma richiedeva loro di svolgere sessioni di “pentimento” e “sharia” classi. Alla fine del 2015, le scuole hanno iniziato il nuovo curriculum utilizzando libri di testo appositamente prodotti dal gruppo. La frequenza era obbligatoria da 5 a 15 anni e le classi erano separate per sesso.

L’inglese era tra le materie insegnate, a partire dal quarto anno scolastico, e i libri di testo che gli insegnanti dovevano utilizzare forniscono un’istantanea di un modo in cui l’ISIS ha cercato di indottrinare i bambini.

Il primo gruppo di vocaboli inglesi appresi includeva le parole “esercito”, “bomba” e “proiettile”. Altri vocaboli introdotti in seguito comprendevano pistola, battaglia, pistola, cecchino, martire, mortaio, carro armato, militare, armi, guerra, e bazooka.

La copertina di “English for the Islamic State, Book 3” contiene un bambino con una pistola appesa alla schiena. Le illustrazioni delle pistole sono usate come decorazione negli angoli di molte pagine.

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Due ultime segnalazioni in questa nostra rassegna di maggio 2019:

●  I portuali di Genova riescono ad impedire che la nave saudita Bahri Yanbu, carica di armi destinate al conflitto in Yemen, attracchi al porto di Genova per caricare i generatori della Defence Tecnel di Roma, materiale a destinazione militare. È probabile però che questo materiale bellico sia dirottato al porto militare di La Spezia, insieme agli 8 cannoni Caesar, che sono stati all’origine del primo blocco della nave, al porto francese di Le Havre organizzato dall’associazione francese Acat e dai docker francesi.

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Comunicato delle associazioni pacifiste genovesi 

● Uganda: proibiti i sacchetti di plastica nel santuario di Namugongo

Chi vuole andare a pregare nel santuario dei Martiri di Uganda dovrà lasciare a casa quei sacchetti di plastica, che tanto danno stanno provocando all’ambiente in Africa e in ogni parte del mondo.

Lo ha annunciato Mons. Anthony Zziwa, presidente della Conferenza episcopale. E così ha spiegato il vescovo: “Come membri della Chiesa cattolica, riconosciamo l’obbligo di prenderci cura di tutta la Creazione, e siamo coscienti del legame tra la promozione della dignità umana e il diritto a un ambiente sano, all’aria pulita, e all’acqua pulita, non contaminata dall’inquinamento”. E continua: “I ‘kaveera’ (il termine popolare per sacchetto di plastica in lingua luganga) danneggiano le nostre colture e indeboliscono l’agricoltura, che è la spina dorsale dell’economia dell’Uganda e la principale fonte di sostentamento per gli ugandese”.

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(a cura di Marco Prada)

Foto: The Nation, Pakistan