Lo squillo continuo del telefonino mi ha svegliato verso la mezzanotte di quel 17 settembre 2018. La voce di padre Désiré mi dice da Cotonou, Benin: “Hanno rapito P. Pierluigi a Bomoanga!”. Attimi di sconcerto e poi le domande: cosa dobbiamo fare? cosa possiamo fare?
Tutta la mattinata è stata un rincorrersi di telefonate, specialmente di giornalisti che, trovato in Internet il nostro recapito, si rivolgevano a noi della Casa Generalizia a Roma. Un giornalista del TG 2 è venuto anche a registrare una breve intervista.
Il nostro Istituto, la Società delle Missioni Africane, aveva già sperimentato qualche anno prima due rapimenti di confratelli, uno in Nigeria e uno in Centrafrica, ma ambedue si erano risolti in pochissimi giorni. Il motivo del rapimento in quei casi era chiaramente legato al contesto, e i contatti con i rapitori erano stati immediati. Per p. Pier Luigi però il caso era diverso: nessun motivo evidente legato al contesto e nessun contatto o rivendicazione dei rapitori.
Il rapimento di P. Pier Luigi ha aperto i miei occhi sulla grave situazione dei paesi del Sahel, in cui oltre all’endemica povertà e alle conseguenze dei cambiamenti climatici si assiste allo scontro tra le potenze occidentali, i paesi arabi e l’onnipresente Cina, per accaparrarsi le materie prime: oro, uranio, petrolio. E poi i lucrosi traffici di esseri umani, armi e droga che transitano attraverso il Sahel. I giovani diventano facili prede di persone senza scrupolo, che promettono loro guadagni cospicui e immediati, in cambio di azioni violente per destabilizzare gli equilibri che reggono quegli Stati.
Penso che p. Pier Luigi sia vivo e sia tenuto prigioniero, magari con altri ostaggi, in qualche zona remota del Sahel, sotto il controllo certi gruppi jihadisti. Mi chiedo spesso come passa le giornate, come riesce a pregare, a tenere il conto dei giorni, a tenere viva la speranza. Forse ripeterà a memoria versetti di salmi in cui si invoca l’aiuto Signore nel pericolo. Nella situazione in cui si trova, quei salmi acquistano tutto il loro senso. La coscienza di essere figlio di Dio, espressa nel Padre Nostro, lo aiuterà a tenere viva la relazione con i suoi fratelli, con sua sorella e con tutti noi suoi confratelli. L’Ave Maria gli farà sentire la presenza della Madre nostra, e la voce interiore dello Spirito Santo lo guiderà nel tentare di allacciare relazioni con i suoi rapitori e i suoi guardiani.
Il rapimento di p. Pier Luigi ci fa toccare con mano il valore della nostra vocazione missionaria. La missione non è nostra, è quella di Gesù che ci ha chiamati e ci ha inviati. A lui abbiamo donato la nostra vita, e dobbiamo imparare a ridonarla ogni giorno. Mi ritornano sempre alla mente le parole con cui inizia il testamento spirituale del p. Christian de Chergé, il priore dei 7 monaci rapiti e uccisi in Algeria nel 1996: “Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese”.
P. Antonio Porcellato
Superiore Generale della SMA, Società delle Missioni Africane
Roma
Foto: p. Pier Luigi Maccalli con p. Porcellato, il catechista Jean-Baptiste e sua moglie Albertine, a Roma, il 15 luglio 2018