Come il 17 di ogni mese, da 18 mesi, la comunità diocesana di Crema, da cui è originario p. Pier Luigi Maccalli, ha pregato per la sua liberazione.

Era il 17 settembre 2018 quando persone armate entrarono nella  missione di Bomoanga, e portarono via p. Gigi. Da allora più nessuna notizia certa.

La preghiera di ieri sera, 17 marzo, era assolutamente particolare: in una cattedrale a porte chiuse, dato lo stato di emergenza, con il vescovo Daniele, affiancato da alcuni sacerdoti e dai ministranti, unito a tutti i fedeli mediante la diretta di Radio Antenna5.

Essendo quaresima è stato scelto di contemplare, nella veglia, sette stazioni della Via Crucis, con letture di brani della Lettera agli Efesini affiancate da riflessioni tratte da alcuni scritti di p. Gigi Maccalli. Scritti che si riferivano a situazioni che coinvolgono la sofferenza di bimbi e ragazzi africani: il pensiero e la preghiera intanto andavano ai bambini del mondo intero e in particolare a quelli siriani, vittime di dieci anni di una guerra assurda.

Coloro che erano collegati con Radio Antenna5 sono stati invitati ad accendere una candela. In cattedrale sono state portate all’altare successivamente una grande lampada (per indicare l’anno) e altre otto più piccole per indicare l’intero periodo di prigionia del missionario cremasco. Sull’altare le immagini della via Crucis su manifesti che venivano via via cambiati.

È stata anche letta la testimonianza di due coniugi di Padova, Piero e Rosetta Verzura, amici di p. Gigi: lo hanno definito, oggi in prigionia, un missionario contemplativo. “Una missione che continua in modo diverso, ma che porterà certamente dei frutti, scrivono. È l’essere innamorati di Dio che fa missionari, è la gioia del Vangelo che spinge alla missione: la gioia che ha spinto sempre padre Gigi verso il Niger: è stata la sua forza anche nei momenti più difficili e certo non l’abbandona ora.” 

Al termine tutti insieme, in comunione con p. Gigi, si è recitata la preghiera per l’Africa: “Eccomi, Signore dinanzi a Te. Ti prego perché l’Africa conosca Te e il Tuo Vangelo…”

Prima di concludere, ha preso la parola il vescovo Daniele: “Per 17 mesi abbiamo pregato con sofferenza, fiducia e passione per ottenere la libertà di padre Gigi. Forse negli ultimi tempi abbiamo dubitato che ne valesse ancora la pena e ci siamo chiesti se dobbiamo continuare a pregare. Ma la parola del Signore ci invita a pregare senza stancarci perché Dio tocchi il cuore di coloro che tengono prigioniero padre Gigi e li porti alla sua liberazione.”

Il vescovo ha ricordato, come segno di speranza, i due giovani, rapiti tre mesi dopo il missionario cremasco, nelle sue stesse zone e liberati nel fine settimana. Un segnale che fa ben sperare.

“Abbiamo pregato per 17 mesi – ha ribadito mons. Gianotti – per sentirci in comunione con padre Gigi. Ma ci mancava come Chiesa e anche come comunità civile una vera immedesimazione nella sua situazione: ebbene questi giorni che stiamo vivendo, questa emergenza che ha afferrato le nostre vite, ci fa capire di più la sua tribolazione, ci fa non solo sentire, ma essere davvero uniti a lui nella sofferenza e nella speranza. 

Comprendiamo cosa significhi essere limitati nella nostra libertà, anche se per noi ancora in modo abbastanza sopportabile, potendoci sentire e aiutandoci a vicenda. Padre Gigi non ha contatti che con i suoi rapitori. Comprendiamo meglio quale sia il dono della libertà di cui spesso abusiamo. Cosa sia il rapporto con le comunità dei credenti: i preti e i fedeli che non riescono più ad incontrarsi. E comprendiamo meglio come padre Gigi soffra la lontananza dalla su comunità di Bomoanga. Cosa significhi per padre Gigi non poter celebrare l’Eucarestia per un anno e mezzo. Oggi possiamo capire meglio perché in modo diverso lo viviamo anche noi. Capiamo cosa vuol dire com-patire, portare il peso gli uni per gli alti. Tutto questo darà più forza alla nostra preghiera.”

Testo e foto da Il Nuovo Torrazzo