Il Sudafrica è il paese del continente africano che si sta rivelando il più toccato dalla pandemia legata al Covid-19. Nel post-apartheid, il Sudafrica sta mostrando ancora tante fragilità. Nel momento in cui scriviamo questo articolo (in data 8 aprile), sono stati registrati nella “nazione arcobaleno” oltre 1700 casi positivi e si contano, secondo i dati ufficiali, 18 morti. Tra questi figura un nome di spicco. Si tratta di Gita Ramjee, 64 anni, scienziata sudafricana da anni impegnata nella ricerca per la prevenzione dell’HIV, deceduta proprio a causa di Covid-19. La sua morte è considerata un grave lutto e un brusco contraccolpo nella ricerca per la lotta contro l’HIV-AIDS.

Un virus che mette a rischio i malati di HIV

 

Il governo sudafricano ha deciso di adottare – un po’ in ritardo, come si è verificato in altre nazioni del mondo – strette misure di confinamento. Le preoccupazioni sono tante, anche perché il Sudafrica conta il più alto numero di persone affette da HIV (più di 200mila), molte delle quali non seguono nemmeno i trattamenti antiretrovirali. Ciò mette questi malati ancor più a rischio di contrarre il coronavirus. È per questo che molti medici sudafricani stanno invitando tutti coloro che sospettano di essere positivi all’HIV di fare il test. Se dovesse risultare positivo è necessario che le persone interessate prendano immediatamente gli antiretrovirali, e tutte le precauzioni necessarie per evitare di essere contagiati dal Covid-19.

In questa situazione così preoccupante, tre importanti figure della Chiesa Anglicana del Sudafrica hanno diffuso un importante messaggio. Il noto Vescovo Emerito Desmond Tutu (Premio Nobel per la Pace e noto per il suo impegno sociale anche durante l’apartheid), insieme all’Arcivescovo Emerito Njongonkulu Ndungane e all’Arcivescovo Thabo Makgoba hanno chiesto al popolo sudafricano di contrastare e fermare la diffusione del Covid-19 lavorando insieme, tutti uniti. È un virus – hanno ricordato – che va oltre tutti i confini, geografici, sociali, economici. Nessuno può dichiararsi immune.

Un appello accorato ai giovani

I tre religiosi anglicani si sono indirizzati in particolare alle generazioni più giovani, perché loro hanno la capacità di proteggere genitori e nonni dal contagio. È sbagliato pensare che questo virus non sia un problema africano, hanno ricordato i vescovi sudafricani. “Abbiamo l’opportunità di rispondere scegliendo la vita sulla morte, la conoscenza sull’ignoranza, condividendo la saggezza e prendendoci cura degli altri attraverso la cura di noi stessi”.

Lo stesso Presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, ha sottolineato come questa pandemia si possa affrontare potenziando i legami tra le persone. Questi legami e questa unità richiedono cooperazione, collaborazione e un’azione comune. Desmond Tutu, Njongonkulu Ndungane e Thabo Makgoba hanno quindi invitato i sudafricani a rafforzare la solidarietà, la comprensione e la compassione.

I poveri delle township i più minacciati

Dopo la morte di Nelson Mandela, il mix tra corruzione e incapacità dei suoi successori non ha permesso al Sudafrica di elevare i livelli di occupazione e di redistribuzione della ricchezza. La crisi economica globale ha indebolito ancor di più quelle fasce della popolazione da sempre povere, ovvero gli abitanti delle township. In queste città-satellite, alla periferia di grandi metropoli come Cape Town, Durban e Johannesburg, oltrepassare la soglia di povertà è sempre più una realtà, considerato che il lavoro è sempre più difficile trovarlo: oltre il 30% dei sudafricani vive sotto la soglia di povertà e il tasso di disoccupazione è giunto nel 2019 al 29%.

In una condizione di indigenza è difficile seguire regole di igiene, quando non si ha nemmeno accesso all’acqua potabile, o quando si devono fare parecchi chilometri per trovare del cibo. La politica di confinamento in Sudafrica sta facendo emergere in modo ancor più evidente tutti i problemi socio-economici accantonati per anni, per decenni, molti dei quali affondano ancora nelle politiche non egualitarie del vecchio apartheid.

(a cura di) Silvia C. Turrin

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