Sono passati 10 anni da quel 5 dicembre 2013. Una data triste per il Sudafrica e per il mondo intero, perché esalava l’ultimo respiro Nelson Mandela. Primo Presidente democraticamente eletto della “Rainbow Nation”, nonché premio Nobel per la Pace nel 1993, Madiba – come viene ancora chiamato familiarmente da tanti suoi connazionali – ha lasciato, in questo decennio, un vuoto non colmato sino ad oggi da nessuna figura politica.
Impossibile sintetizzare in un articolo la vita di un uomo che ha dedicato tutto se stesso alla causa di liberazione dei sudafricani dalle catene dell’oppressione e del razzismo.
Mandela nacque il 18 luglio 1918 a Mvezo, piccolo villaggio nell’Eastern Cape (provincia un tempo chiamata Transkei), sulle rive del fiume Mbashe, nel distretto di Umtata. Il suo futuro sembrava già tracciato sin dalla sua infanzia, essendo la sua una famiglia reale (Thembu), di etnia Xhosa. La decisione di non accettare un matrimonio combinato gli cambierà completamente la vita e cambierà la storia del Sudafrica.
Gli studi di giurisprudenza e soprattutto la dura realtà che ha modo di vedere e sperimentare a Johannesburg, gli permettono di prendere coscienza dello sfruttamento economico e del profondo razzismo instaurato dai coloni inglesi e boeri (poi chiamati afrikaner). Separazione etnico-razziale, politica del divide et impera, ingiustizie e soprusi dell’élite bianca sulla maggioranza sudafricana: tutto ciò lo spinse a diventare un combattente per la libertà.
L’incontro con Oliver Tambo e Walter Sisulu fu determinante: insieme aderirono alla causa dell’ANC e alla lotta contro il regime di apartheid. Dopo anni di proteste e atti di non-violenza – su ispirazione dei principi gandhiani sintetizzati nella pratica dell’Ahiṃsā – Mandela e compagni passarono alla lotta armata contro i mezzi brutali del governo di Pretoria.
Proprio per le azioni compiute con il braccio armato dell’ANC (l’Umkhonto we Sizwe), nel 1962, Mandela – insieme ad altri esponenti dell’ANC – fu arrestato e, in seguito al processo di Rivonia, venne condannato al carcere a vita.
Nel corso del dibattimento, Mandela pronunciò un discorso divenuto storico per la forza e la coerenza delle sue parole:
“Ho combattuto contro la dominazione bianca e ho combattuto contro la dominazione nera. Ho accarezzato l’ideale di una società democratica e libera in cui tutte le persone vivano insieme in armonia e con pari opportunità. È un ideale per il quale spero di vivere e che spero di raggiungere. Ma, se sarà necessario, è un ideale per il quale sono pronto a morire”.
Durante il periodo di prigionia, Mandela si è sempre rifiutato di scendere a compromessi con il governo e sebbene fosse in carcere, la sua popolarità e il suo prestigio non diminuirono affatto, anzi, divenne il politico che più di altri poteva rappresentare il futuro Sudafrica libero. Venne liberato dopo 27 anni di detenzione.
Grazie alle lunghe trattative con i rappresentanti dell’allora National Party e grazie alla sostituzione dell’intransigente Pieter Willem Botha con il più lungimirante Frederik Willem de Klerk si poté arrivare alla fine dell’apartheid e alla fondazione di un nuovo Sudafrica.
Dopo 10 anni dalla morte di Nelson Mandela risuonano ancora quelle sue parole…
“La verità è che non siamo ancora liberi, abbiamo conquistato soltanto la facoltà di essere liberi, il diritto di non essere oppressi. Non abbiamo compiuto l’ultimo passo del nostro cammino, ma solo il primo di una lunga strada che sarà ancora più lunga e difficile, perché la libertà non è solo spezzare le proprie catene, ma anche vivere in modo da rispettare e accrescere la libertà degli altri”.
Ma come può esserci libertà se il Sudafrica conosce ancora povertà, disoccupazione, e se il retaggio dell’apartheid si fa ancora sentire?
Il sogno di Mandela e, più in generale, di tutti coloro che hanno lottato contro il razzismo e lo sfruttamento dell’élite coloniale bianca di vedere la ricchezza del Paese distribuita più equamente rimane ancora un sogno.
I gap socio-economici in Sudafrica (un po’ come accade in tante altre zone del mondo) si sono accentuati. Il tasso di disoccupazione nel Paese sfiora oltre il 30%.
Certamente le dinamiche geopolitiche ed economiche mondiali non facilitano un cambio di rotta, ma anche la classe politica sudafricana di questi anni recenti è sospesa tra corruzione e incapacità nell’affrontare le questioni urgenti che toccano la maggioranza della popolazione.
Intanto il Sudafrica si prepara per le prossime, importanti elezioni del 2024. Per votare occorre registrarsi e i vari partiti si stanno mobilitando per ottenere voti. Ma l’assenteismo è dietro l’angolo (come accade anche oltre i confini africani…).
Si pensi che nelle elezioni del 2019 solo il 49% delle persone aventi diritto di voto si sono recate alle urne. Ricordo che nel 1994, anno delle prime elezioni democratiche, la partecipazione fu dell’84%.
Dati che denotano una disaffezione verso la politica in generale, ma soprattutto verso una politica lontana dai veri bisogni reali della gente.
Nell’attuale panorama sudafricano manca una figura carismatica, convincente e coerente quale è stato Nelson Mandela.
Preziosi e ancora attuali gli insegnamenti che ci ha lasciato in eredità, non solo di carattere strettamente politico, ma anche sociale, umano… Anziché vendetta, ha promosso unità e riconciliazione, anziché odio e rancore ha sempre abbracciato la via dell’amore e della pace, anche verso coloro che sono stati suoi carcerieri.
Ho percorso un lungo cammino verso la libertà…
Io so che il mio paese non è nato per essere la terra dell’odio
Nessuno nasce odiando un’altra persona a causa del colore della sua pelle
Le persone imparano a odiare
Può essere insegnato loro ad amare
Perché l’amore è il sentimento più naturale per il cuore umano
Nelson Mandela
Silvia C. Turrin