Il filosofo camerunense Achille Mbembe nel suo ultimo libro invita gli africani a lasciarsi alle spalle le spiegazioni terzomondiste di stampo europeo.
“Se gli africani vogliono alzarsi e camminare dovranno, presto o tardi, guardare da un’altra parte rispetto all’Europa. Essa non è certo un mondo in via di sparizione ma, stanca, rappresenta ormai il mondo della vita in declino e dei molti tramonti. Qui lo spirito è annacquato, corroso dalle forme più forti di pessimismo, di nichilismo e di superficialità”, scrive Achille Mbembe in Emergere dalla lunga notte. Studio sull’Africa decolonizzata (pagine 312, euro 20) da poco tradotto da Meltemi. Il filosofo camerunese, una delle voci più originali del pensiero engagé africano alla pari di Felwine Sarr, esorta i popoli del Continente nero ad abbandonare la “grande notte” di cui parla Frantz Fanon in I dannati della terra. Anche nelle pagine finali del livre de chevet dello psichiatra antillese risuonava l’invito ad emanciparsi dall’Europa. Eppure quello era l’istigazione a cercare altre sponde “terzomondiste” rispetto a un Vecchio Continente ancora colonizzatore malgrado la decolonizzazione.
Ora, invece, la prospettiva di Mbembe è ben diversa, e più radicale. L’Europa è spossata e culturalmente esausta e da lì, sostiene, poco può arrivare, e soprattutto né sostegno né ispirazione. Occorre che l’Africa inventi “un immaginario alternativo della vita, del potere e della città – scrive il pensatore africano – aggiornando le solidarietà trasversali e mobilitando i giacimenti religiosi che sono la spiritualità della liberazione, il consolidamento e la transnazionalizzazione delle istituzioni della società civile”.
Achille Mbembe, classe 1957, nasce e conduce i primi studi in Camerun presso i padri domenicani impegnandosi poi nella Jeunesse estudiantine chrétienne di cui, poi, dirigerà il giornale del movimento, Au large. Dopo questa prima formazione prosegue gli studi in Francia prima con un dottorato alla Sorbona e poi a Sciences-Po, sempre a Parigi. Riconosciuto alla stregua di uno dei maestri degli studi postcoloniali intraprende la strada dell’insegnamento alla Columbia University di New York e successivamente a Dakar dove rimane alcuni anni prima di stabilirsi tra due continenti.
Attualmente è professore di storia e scienze politiche all’Università del Witwatersrand a Johannesburg e ricercatore al Wits Institute for Social and Economic Research sempre in Sud Africa. Secondo Achille Mbembe oggi sarebbe suonata la campana per i nazionalismi africani che recano l’impronta del Novecento. Sarebbe inutile riproporli come modello di emancipazione. Essi non sarebbero che la proiezione dei nazionalismi europei dell’Ottocento su cui germogliò la colonizzazione. E di conseguenza sarebbero inutili per l’Africa.
“Il sogno di emancipazione africana – spiega il pensatore camerunense – è stato solo un esercizio mimetico della violenza delle razze messa in azione dalla colonizzazione”. Oggi occorrerebbe dunque lasciarsi alle spalle i miti del panafricanismo e della negritudine, che sulla cultura europea facevano aggio. Bisognerebbe invece alzare il vessillo di quello che Mbembe chiama afropolitismo. Nei disegni del filosofo di Malandè l’afropolitismo non intende essere un’ideologia confezionata al modo di quelle del passato. Esso è un’attitudine. Si presenta come “una stilistica e una politica, un’estetica e una particolare poetica del mondo. È un modo di stare al mondo che rifiuta, di principio, qualsiasi forma di identità vittimaria”.
Solo abbandonando i riflessi condizionati del passato e gli sterili j’accuse contro gli sfruttatori di ieri e di oggi diventerà possibile per l’Africa scrollarsi di dosso idee che attingono al bagaglio culturale vetero-europeo come la solidarietà razziale esaltata dal panafricanismo (anche se solo marginalmente il panafricanismo aveva adottato idee d’impronta razziale, evidenziamo noi) e dalla negritudine. Infatti “nel momento in cui l’Africa contemporanea si desta alle figure del multiplo (ivi compreso il multiplo razziale) che sono costitutive delle sue storie particolari – ricorda Mbembe – declinare il continente secondo l’unico modo della solidarietà nera diventa insostenibile”. Per rianimare lo spirito dell’Africa occorre ispirare la possibilità di un’arte, di una filosofia, di un’estetica che possano dire qualcosa di nuovo e significante per il mondo intero.
“Non si tratta più di ritornare a ogni costo alla scena primordiale – ammonisce Mbembe – o di ricompiere nel presente le gesta del passato”.
“Non si tratta più di sapere – continua il filosofo camerunense – quale essenza si sia perduta. È invece importante sapere come costituire nuove forme del reale, forme fluttuanti, mobili”. Per Mbembe la vera posta in gioco è la liberazione dell’immaginario africano dai diktat economicisti. L’Africa deve scuotersi dalle spalle visioni del mondo che non le appartengono. L’afropolitismo, secondo Mbembe, potrebbe essere la chiave di volta per essere all’altezza dei tempi attuali. Sposando il cosmopolitismo con le identità multiple e sovrapposte, caratteristiche della cultura africana, il Continente nero lascerà in eredità il suo contributo in difesa di un mondo ricco e plurale sottratto alla omologazione.
Simone Paliaga, in Avvenire del 19 gennaio 2019