L’Africa rimane pesantemente toccata dagli effetti destabilizzanti della crisi climatica. Il paradosso è che l’intero continente emette i più bassi livelli al mondo dei famigerati gas serra, responsabili del riscaldamento globale e dei mutamenti del clima. In questo contesto, non solo si intensificheranno siccità, inondazioni, cicloni e caldo torrido, ma rischia di velocizzarsi un altro drammatico fenomeno, ovvero lo scioglimento, già entro il 2040, degli ultimi ghiacciai dell’Africa.

Verso lo scioglimento degli ultimi ghiacciai

Il Kilimanjaro ricoperto di neve potrebbe diventare un lontano ricordo, che le future generazioni non avranno più l’opportunità di ammirare direttamente coi loro occhi. A subire le conseguenze dei cambiamenti climatici non sarà soltanto questa mitica vetta della Tanzania soprannominata il “tetto dell’Africa”. Scompariranno anche i ghiacciai dei monti Rwenzori in Uganda e del monte Kenya.

Tali sconvolgimenti – non troppo lontani in termini di tempo – avranno effetti pesanti sugli habitat di queste regioni. Se l’impatto sulle riserve d’acqua locali non sarà preoccupante, ciò che rischia una forte destabilizzazione è l’equilibrio degli ecosistemi. Subiranno conseguenze negative non solo la flora e la fauna locali, ma anche tutti quei popoli la cui economia si basa proprio sulle caratteristiche ecologiche di quelle aree. Oltre agli aspetti ecologici, economici e naturalistici, occorre tenere conto dell’impatto culturale che tale fenomeno comporterà.

Kilimanjaro crisi climatica

Il Kilimanjaro, per esempio, la più elevata montagna del continente africano coi suoi 5895 metri d’altezza, è sacra per numerosi popoli, come i Chagga della Tanzania, che considerano la vetta una sorta di porta che conduce verso la dimensione degli antenati.

Lo scioglimento degli ultimi ghiacciai in Africa rappresenterà un’altra tremenda sconfitta per la nostra società. Ricordiamo che persino in Europa sono già scomparsi numerosi ghiacciai: nella sola Islanda 56 e sulla catena alpina ben 200.

L’inarrestabile desertificazione

Sahara desertificazione crisi climatica

L’aggravarsi della crisi climatica innescata dalle attività del genere umano accelera sempre più il processo di desertificazione già in atto da decenni in varie parti dell’Africa. Molte zone, abitate da oltre due miliardi di persone, rischiano di diventare totalmente improduttive, quindi non più adatte per ottenere risorse alimentari. Se i cambiamenti climatici non si arresteranno, nell’arco dei prossimi decenni milioni di persone saranno costrette ad abbandonare le proprie abitazioni e il loro tradizionale stile di vita.

Un fenomeno, quello dei migranti ambientali, che è già una realtà. Come sottolinea l’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC), nel corso del 2020 si sono registrati 40 milioni e mezzo di nuovi sfollati interni, oltre la metà dei quali (ovvero più di 30 milioni) sono stati costretti a fuggire proprio a causa di disastri ambientali. E il continente più colpito è l’Africa.

Il processo di desertificazione può essere interrotto o quanto meno rallentato, attraverso politiche che incentivino forme di ecoturismo – per creare ricchezza alle popolazioni locali, tutelando al contempo l’ambiente – e tramite l’uso di energie alternative e rinnovabili.

In Africa per fermare l’avanzare del deserto si sta creando una grande muraglia verde, profonda 15 chilometri e lunga oltre 7000, che collegherà l’Africa occidentale alla zona orientale del continente. Un progetto importante, che cerca di fermare la costante avanzata delle sabbie del deserto attraverso azioni di riforestazione di grande ampiezza.

Tuttavia, il progetto va avanti molto lentamente. Nell’arco di 15 anni sono stati implementati solo 4 milioni di ettari verdi, ovvero il 4% dell’obiettivo che ci si prefigge per il 2030. Questo dato si spiega sia per le difficoltà oggettive nel rinverdire zone aride, sia per l’uso clientelare e corrotto delle ingenti somme previste per tale investimento. Inoltre, le attività di deforestazione nei paesi del Sahel procedono ad un ritmo molto più serrato rispetto agli sforzi di conservazione degli spazi verdi.

In ogni caso, nemmeno la grande muraglia verde risolverà il problema della desertificazione, né tantomeno quello dei cambiamenti climatici. Le sorti dell’Africa dipendono dalle scelte, o dalle non scelte, dei paesi che maggiormente producono gas serra: Cina, Stati Uniti, India e Russia.

La crisi climatica non ha confini

Ma ciò che accade e accadrà in Africa coinvolge tutti, perché il riscaldamento globale e le conseguenze della crisi climatica non hanno confini.

Secondo Clément Sénéchal, di Greenpeace France: “Il nostro pianeta sta per diventare inospitale. Ci accingiamo a entrare in una realtà ostile alla specie umana”.

La prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull’ambiente si è tenuta a Rio de Janeiro nel 1992 ed è stata l’occasione per evidenziare la necessità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Sono trascorsi da allora 30 anni, ma nonostante i successivi accordi e protocolli la situazione ambientale e climatica mondiale è sempre più preoccupante.

Questione ambientale e giustizia sociale

Occorre cambiare il sistema economico globale e il paradigma che lo governa. Come ha sottolineato Clément Sénéchal, la questione ambientale va di pari passo con la giustizia sociale. Per avere maggiori introiti da investire per la transizione ecologica occorre tassare i più ricchi, come per esempio alcuni Stati stanno facendo imponendo maggiori imposte sui beni di lusso: dagli yacht ai jet privati, passando per le auto costose e altamente inquinanti.

Tra le voci più autorevoli che da anni esortano i governi ad affrontare in modo serio e concreto la crisi climatica vi è certamente Papa Francesco. Basti ricordare l’Enciclica Laudato sì del 2015, in cui il Pontefice chiede la protezione della nostra Casa Comune, la Terra.

Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti”.

Un tema molto caro al Santo Padre, riproposto in occasione del Convegno “Resilience of People and Ecosystems under Climate Stress“, organizzato in Vaticano dalla Pontificia Accademia delle Scienze. In quell’occasione Papa Francesco ha espresso l’urgenza di affrontare seriamente la questione dei cambiamenti climatici, con una speranza nel cuore:

“[…] mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità”.

Silvia C. Turrin

foto: wikipedia.com; ourworld.unu.edu; African Arguments; pressenza.com