Il summit Italia-Africa svoltosi a Roma il 28 e il 29 gennaio 2024 ha messo al centro varie questioni, riguardanti non solo lo sfruttamento energetico e il cosiddetto “piano Mattei”, ma anche il tema dei migranti. Cerchiamo di cogliere i punti principali di tale summit, allargando lo sguardo ad alcuni fatti recenti.

L’idea di un “hub” energetico per l’Europa

Il conflitto in Ucraina ha destabilizzato gli approvvigionamenti di gas naturale. Per effetto delle sanzioni contro la Russia, molti paesi hanno cercato e stanno ancora cercando nuove fonti alternative di rifornimento. L’Italia, lo sappiamo, non ha mai potuto contare su proprie risorse energetiche, derivanti dai tradizionali combustibili fossili, ovvero petrolio e, appunto, gas (discorso diverso se si parlasse di fonti sostenibili e rinnovabili, come sole, vento, mare, calore del sottosuolo, disponibili da nord a sud della nostra Penisola).

Sonatrach – Algeria

Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, l’Italia era dipendente proprio dal gas russo. Per questo è diventato urgente e cruciale il tema dell’approvvigionamento energetico e della ricerca di nuovi Paesi fornitori.

Una delle più importanti società di idrocarburi al mondo è la Sonatrach, in Algeria. Non è un caso che vari esponenti politici italiani siano più volte volati ad Algeri in questi due anni.

E i viaggi in Africa si sono intensificati come non mai con il nuovo governo di Roma, in carica dal 22 ottobre 2022. La Presidente del Consiglio ha compiuto visite in Libia, Tunisia, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia e, nuovamente, in Algeria.

I vari incontri politico-diplomatici hanno anche un carattere commerciale, visto che il nuovo governo di Roma ha il progetto di trasformare l’Italia in un “hub” energetico per tutta l’Europa. Come? Attraverso il cosiddetto piano Mattei, di cui si è tanto parlato nel Summit Italia-Africa. E perché un hub in Italia? Per la posizione geografica del nostro Paese.

Il cosiddetto piano Mattei

Durante il Summit tenutosi a Roma si è sentito più volte dire che il piano Mattei prevede una serie di partenariati “eguali e vantaggiosi” con i Paesi africani e con quelli che si affacciano sul Mediterraneo.

Tale Piano prevede investimenti italiani pari a 5,5 miliardi di euro, che dovrebbero essere usati per promuovere e sostenere in Africa vari settori: istruzione e formazione, agricoltura, salute, energia e acqua.

Sempre durante il Summit si è sottolineata la natura non paternalistica ed eurocentrica del piano.

Eppure, a ben analizzare, i delegati africani hanno assistito ai vari discorsi istituzionali italiani ed europei in modo passivo durante tale Summit. Un’occasione mancata, quella di dar voce pubblicamente ai diversi rappresentanti di numerosi paesi dell’Africa riuniti insieme a Roma. Si è invece optato per colloqui bilaterali a margine del vertice.

Le uniche voci africane a cui si è dato spazio nel corso del Summit ufficiale sono state quelle del Presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani (rieletto da poche settimane Presidente delle Comore), e del Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat.

Quest’ultimo ha tra l’altro pronunciato parole piuttosto critiche verso la definizione e le linee del piano Mattei, affermando: “avremmo auspicato essere consultati… Non possiamo più accontentarci di semplici promesse, spesso non mantenute”.

Moussa Faki Mahamat

Le stesse finalità del piano Mattei lasciano alcuni dubbi sulla natura dei partenariati “eguali e vantaggiosi”.

Il piano del governo fa riferimento esplicito a Enrico Mattei, fondatore, nel 1953, dell’ENI, l’Ente Nazionale Idrocarburi.

È chiaro che il punto principale del piano è quello di diversificare e intensificare – per l’Italia e più in generale per l’UE – gli approvvigionamenti energetici e lo sfruttamento di varie risorse minerarie strategiche.

Ma c’è un altro elemento da considerare, messo in luce su Jeune Afrique, da Ghazi Ben Ahmed, Fondatore dell’Iniziativa Mediterranea per lo Sviluppo, il quale ha scritto: L’obiettivo ufficiale è garantire l’approvvigionamento energetico all’Unione Europea (UE) aiutando allo stesso tempo i paesi africani a svilupparsi a un ritmo accelerato per frenare i flussi migratori. A meno di sei mesi dalle elezioni europee, tutto suggerisce, però, che il vero obiettivo di Meloni non è tanto quello di sedurre gli stati africani con l’ennesimo progetto di cooperazione basato su “partenariati tra pari”, quanto di mostrare agli elettori europei cosa può fare un governo di estrema destra per controllare l’immigrazione e garantire la sicurezza.

L’articolo su Jeune Afrique, di Ghazi Ben Ahmed, Fondatore dell’Iniziativa Mediterranea per lo Sviluppo, è disponibile qui.

In tutto questo, chi non è stato interpellato e chi, ancora, non ha voce, è la società civile africana. Le popolazioni locali continuano ad assistere al saccheggio delle ingenti risorse minerarie-energetiche presenti nelle loro terre.

Ricordiamo che in Africa si trovano, fra gli altri, cobalto, rame, argento, zinco, stagno, carbone, tungsteno, uranio, radio, manganese, cadmio, coltan, niobio, tantalio, diamanti, oro e, naturalmente, petrolio e gas.

Infine, sulla scia del global warming (riscaldamento globale della Terra) e della crisi climatica in atto, investire ancora nelle tradizionali fonti energetiche inquinanti è paradossale. È proprio l’Africa il continente che subisce di più al mondo gli effetti devastanti provocati dai mutamenti del clima.

Basta considerare gli eventi estremi verificatisi nel solo 2023.

Il Corno d’Africa (Somalia, Etiopia, Kenia) ha vissuto la peggiore siccità degli ultimi 40 anni, a causa di sei stagioni consecutive senza piogge. Siccità poi seguita ad alluvioni disastrose.

In Congo (Brazzaville), in Sudafrica, in Tanzania si sono verificate inondazioni che richiedono aiuti umanitari, mentre in Marocco e Zimbabwe la siccità sta decimando raccolti e animali.

Se non si affronta seriamente e senza demagogia la questione globale del clima e del cambio di paradigma economico-energetico non ci saranno partenariati tra eguali, perché i poveri saranno sempre più poveri, carenti di cibo, indifesi contro siccità e alluvioni.

La terra – intesa sia come terreno fertile da coltivare e rispettare affinché dia i suoi frutti all’umanità, sia come pianeta, il nostro, su cui viviamo – rimane la nostra più grande ricchezza. È la nostra Casa Comune, come ribadisce Papa Francesco.

Le vere partnership iniziano prendendosi cura, insieme, della nostra Madre Terra.

Silvia C. Turrin

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