Carissimi, vi scrivo un mese dopo il mio ritorno in Costa d’Avorio. Il tempo è letteralmente volato e le giornate hanno subito preso il ritmo d’inizio anno pastorale. La Casa Regionale è tutto un via-vai di padri e seminaristi che arrivano o partono per le loro missioni… e solo ora mi rendo conto che non vi ho più mandato notizie.
Io sto bene. Al mio arrivo però ho trovato un clima strano, pesante, presente ovunque: la paura! Ebola: è la parola che gira su tutte le bocche: dalla tele, alla radio o con il vicino di casa. Nei negozi di Abidjan i commessi ora ti servono con i guanti di plastica, come in ospedale. Al mattino i ragazzi fanno la coda per lavarsi le mani prima di entrare a scuola. Per strada ci si saluta con dei grandi sorrisi e inchini: ma vieto stringersi le mani e avvicinarsi troppo.
Non riconosco più l’Africa degli abbracci calorosi, le pacche sulle spalle e le risate a piena voce. Per evitare le occasioni di contagio, i vescovi hanno abolito lo scambio della pace durante la messa; la comunione è data solo sulle mani e si fa attenzione a non toccare chi ti sta vicino. Da noi non ci sono stati fin ora casi confermati di questa malattia, ma le notizie che arrivano dalle missioni dell’interno sono poco rassicuranti e i miei confratelli in Liberia e in Sierra Leone se la vedono brutta.
Padre Eric è originario della Costa d’Avorio, da due anni missionario in Liberia. Era venuto in vacanza ed è rimasto bloccato: la sua parrocchia è stata dichiarata zona a rischio elevato e la frontiera è stata chiusa. Così ora è con me alla Casa Regionale. Ma non riuscirò a tenercelo per molto tempo: lui vuole ritornare dalla sua gente che soffre. Lo capisco …. e un po’ anche lo invidio. Perché questa è la missione: rimanere, stare vicino alla gente. Anche se non potrà far granché, perché da lui le scuole sono chiuse, non si può viaggiare e le attività pastorali ridotte al minimo. Ma restare, condividere le sofferenze o le gioie delle persone a cui sei mandato: è il Vangelo che tutti capiscono.
Intanto la nostra cappella è diventata piccola per contenere i fedeli che ogni mattina vengono a messa. Alla domenica piazziamo una tendone davanti all’ingresso e tanti rimangono fuori, allo scoperto anche quando piove. Per esperienza so che il Signore ascolta i poveri: ho chiesto loro di ricordarvi nella preghiera, soprattutto in questo ottobre missionario.
Ora poi ci siamo decisi a fare una tettoia per le celebrazioni domenicali. Ma il nostro sogno è di costruire una vera chiesa. Sarebbe bello avere in Costa d’Avorio un Santuario dedicato alla Regina delle Missioni, in ricordo di tutti i missionari che hanno evangelizzato questa terra. Sono centinaia i padri e le suore che hanno dato la loro vita per l’annuncio del Vangelo anche quando non c’erano medicine e la febbre gialla decimava i bianchi che sbarcavano su queste spiagge.
Così è nata la Chiesa di Costa d’Avorio, che oggi conta 15 diocesi, 22 vescovi e più di 1.400 preti locali. Anche le prime scuole, i dispensari e le maternità: sono state costruite dai missionari che hanno portato il Vangelo. E l’avventura continua!
Grazie del ricordo e delle preghiere
p. Dario Dozio
Abidjan, 12 ottobre 2014