All’interno del nostro sito abbiamo creato, ormai da diverso tempo, una sezione dal titolo “Ricordare la Storia per capire il presente”. È importante conoscere i fatti del passato, soprattutto se hanno conseguenze tragiche, per non commetterli ancora e ancora.
Gli eventi storici dovrebbero averci insegnato un po’ più di saggezza, per costruire una società umana basata sul rispetto reciproco, sulla fratellanza/sorellanza, sulla giustizia per tutti.
In questo 2025, tante conquiste dell’umanità sembrano sfasciarci sotto ai nostri occhi.
Violazione dei diritti umani, violazione del diritto internazionale, violazione delle libertà personali, violazione dei principi fondamentali dei lavoratori, disumanità: assistiamo a tutto ciò, chi con la sensazione d’impotenza, chi con la speranza in un mondo migliore, e c’è chi cerca di agire – come può – per contrastare l’inciviltà che ha preso le redini in varie aree del globo.
Ecco che “ricordare la storia per capire il presente” ci può aiutare a vedere alcuni fatti di cui siamo testimoni, oggi, in modo più consapevole e lucido, perché grazie alle lezioni del passato possiamo creare in noi anticorpi contro le tendenze e gli atteggiamenti disumanizzanti che stanno investendo varie zone del globo.
Questa premessa è doverosa per inquadrare gli eventi storici che ci accingiamo a riportare.
Eventi che si collegano alla storia del Sudafrica. Ci concentreremo, in particolare, non solo su alcuni fatti che hanno gettato le basi dell’apartheid, ma anche e, soprattutto, sull’ideologia che ha costituito le fondamenta di questo sistema razzista.
L’intento di questo scritto è, da un lato, quello di ricordare la brutalità (e l’assurdità) di quel regime instaurato nel 1948 e terminato ufficialmente solo nel 1994, e, dall’altro, evidenziare come talune idee e dinamiche si ritrovino ancora oggi, a vario grado e sotto altre sfumature, in alcuni contesti.
Lasciamo al lettore il “lavoro” di cogliere parallelismi tra quanto andiamo a descrivere e le dinamiche nazionali/internazionali contemporanee.
1948, l’inizio ufficiale dell’apartheid
Nel 1948, vinse le elezioni il National Party, partito che instaurò l’apartheid, un regime autoritario, dove il principio di separazione razziale venne legalmente riconosciuto attraverso la promulgazione di una miriade di leggi volte a regolare e controllare ogni ambito sociale.
Soggetti alla discriminazione razziale e allo sfruttamento economico furono i cosiddetti non-bianchi, ovvero gli indiani, i coloured (meticci) e i neri, i quali vennero segregati in specifiche aree geografiche, lontane dalle zone dichiarate whites only.
Chi scrive è contraria alla catalogazione dell’umanità in razze, non solo perché dal punto di vista biologico-scientifico non esistono, ma anche perché considera l’umanità una e una sola, pur con la consapevolezza delle singole peculiarità storiche, culturali, geografiche.
In questo scritto inerente l’apartheid siamo costretti a usare la catalogazione razziale usata all’epoca dell’apartheid.
La concezione storico-religiosa degli afrikaner

i leader del National Party, tra i quali è presente Daniel F Malan
L’istituzionalizzazione dell’apartheid è stata fortemente voluta dagli afrikaner, ex boeri (coloni olandesi), “africanizzatisi” in una terra che consideravano la loro “terra promessa”.
A tal proposito, è interessante riportare alcune frasi di Daniel François Malan, primo ministro sudafricano dal 1948 al 1954, in cui emergono le sue concezioni storico-religiose, e quelle del popolo afrikaner:
“La nostra storia è il più grande capolavoro del secolo. Noi occupiamo questa nazione in quanto nostro dovere, poiché ci è stata affidata dall’Architetto dell’universo. [Il suo] scopo era la formazione di una nuova nazione fra le nazioni del mondo… Gli ultimi cento anni hanno testimoniato un miracolo dietro al quale deve esserci un piano divino. Infatti, la storia degli afrikaner rivela una volontà e una determinazione che rendono l’Afrikanerdom non un lavoro dell’uomo bensì la creazione di Dio”.
(Cfr. T. Dunbar Moodie, The rise of Afrikenerdom. Power, Apartheid, and the Afrikaner Civil religion, Berkeley, University of California Press, 1980).
In questa frase di Malan è racchiusa la concezione storico-religiosa della maggioranza degli afrikaner, popolo che riuscì a forgiare una forte identità sulla base di tre elementi fra loro collegati: 1) la lingua afrikaans; 2) la storia, basata sulle vicissitudini di un “popolo eletto”, gli afrikaner appunto; 3) la religione calvinista dei primi coloni olandesi, trasformatasi nel nazionalismo-cristiano degli afrikaner.
Come ha ricordato più volte lo scrittore e giornalista polacco Ryszard Kapuściński (1932-2007), il principio della razza permeava tutte le leggi dell’apartheid. E sebbene gli afrikaner costituissero solo il 16% della popolazione della Repubblica sudafricana erano diventati i detentori del potere politico, economico, sociale e culturale.
Cos’è l’Afrikanerdom

I principali esponenti dell’Afrikaner Broederbond nel 1918
L’Afrikanerdom, letteralmente, significa “regno/dominio afrikaner”. È un concetto al contempo astratto e reale. In esso è insita l’ideologia dominante del popolo afrikaner, secondo la quale Dio stesso avrebbe posto i coloni olandesi nella loro terra promessa, ha dato loro la lingua afrikaans e li avrebbe incaricati della missione di diffondere la civiltà cristiana in Africa.
L’Afrikanerdom è contemporaneamente un concetto reale, perché prevedeva il progetto della costruzione di una vera e propria nazione afrikaner, il cui tentativo di edificazione era stato avviato tramite la fondazione di una serie di organizzazioni che avevano il compito di creare legami fra gli stessi afrikaner.
Una delle più importanti fu l’Afrikaner Broederbond, fondata nel 1918 e divenuta, negli anni ’20, società segreta. Fu tale organizzazione a teorizzare la politica di apartheid e a elaborare la dottrina del nazionalismo cristiano, basata su una stretta simbiosi fra politica e religione (calvinista), il cui principale obiettivo consisteva nello sviluppare una nazione in armonia con i principi – ovviamente deformati – della religione cristiana protestante. La maggior parte dei deputati e dei primi ministri del National Party fecero parte del Broederbond.
L’idea di un popolo eletto
La religione civile ‒ elemento intrinseco dell’ideologia sviluppata dal popolo afrikaner ‒ rappresenta una sorta di unione fra la dimensione religiosa, espressa nella fede calvinista dei primi coloni boeri, e la dimensione storico-politica. Fu Paul Kruger, presidente del Transvaal, dal 1881 al 1902, a proporre l’idea di un popolo eletto ‒ gli afrikaner ‒ portatore dei principi della religione Calvinista e chiamato ad una missione e a un destino divini. La religione civile fu il prodotto di vicende storiche interpretate e vissute secondo i dettami calvinisti.

Campo di concentramento istituito dai britannici in Sudafrica per detenere i coloni boeri
Un esempio di ciò è rappresentato dalla Battaglia di Blood River fra coloni boeri e il popolo Zulu, il cui risultato vide la vittoria dei primi (16 dicembre 1838). L’esito finale fu ancor più emblematico e rilevante per il popolo afrikaner, in quanto la vittoria faceva seguito ad un appello d’aiuto rivolto a Dio da parte del commando guidato da Andreis Pretorius. Nel 1910, proprio la data del 16 dicembre venne proclamata festa nazionale dell’allora Unione Sudafricana.
C’è da dire, inoltre, che l’identità afrikaner si era cristallizzata anche a seguito delle drammatiche e inumane condizioni vissute dai coloni di origine olandese (poi chiamati boeri e poi ancora afrikaner) durante la Seconda Guerra Anglo-Boera in territorio sudafricano (1899-1902).
In quegli anni, i britannici istituirono campi di concentramento dove furono internati migliaia di civili boeri. Tra questi, oltre 140mila donne e bambini suddivisi in 49 campi. Luoghi disumani, dove le condizioni igieniche erano tremende, e che provocarono epidemie di tifo e di morbillo. Quasi 30mila civili boeri morirono.
Il peso della dottrina chiamata “baasskap” e il volto del razzismo
La piattaforma elettorale del National Party si basava sul concetto di baasskap, che letteralmente significa padronanza/dominazione.
Essa rappresenta la dottrina, seguita dalla maggioranza del popolo afrikaner, fondata su un’interpretazione fuorviante della Bibbia che sostiene la supremazia della razza bianca.
L’idea di baaskap ha radici lontane, individuabili, nel contesto sudafricano, già durante l’800. All’inizio del XIX secolo, i rappresentanti della Corona britannica iniziarono a istituire importanti riforme, seppur moderate, a favore della popolazione africana: basti pensare all’Ordinanza 50 (1828) attuata dal generale Bourke, con la quale al gruppo dei Khoi Khoi veniva riconosciuto il diritto a possedere terre.
L’introduzione di questa legge fu criticata dal popolo afrikaner proprio a causa della convinzione (definita appunto baaskap) che la razza bianca fosse superiore alle altre. Tale idea era, tra l’altro, fondata su un’interpretazione errata di diversi temi raccontati nelle Sacre Scritture.
L’introduzione dell’Ordinanza 50 fu una delle cause che portò gli afrikaner a compiere il Grande Trek: migrazione, avvenuta fra il 1835 e il 1837, degli agricoltori boeri della frontiera (voortrekkers) per sfuggire all’amministrazione britannica, quest’ultima portatrice di regole e idee diverse da quelle del popolo afrikaner.
Alcune immagini che ritraggono la migrazione – conosciuta come il Grande Trek – degli agricoltori boeri della frontiera (voortrekkers) per sfuggire all’amministrazione britannica
Una vittoria basata su paure, propaganda, ideologia
Il National Party vinse perché fece leva sulle paure (indotte) dei bianchi e, appunto, sull’ideologia del gruppo degli afrikaner.
I bianchi – subissati da notizie false e dalla propaganda dominante – avevano paura di una forte urbanizzazione dei neri, tanto da metabolizzare facilmente i temi dominanti della campagna elettorale del National Party, ovvero l’oorstroming (invasione) delle città di un proletariato africano incontrollato e lo swaart gevaar (pericolo nero).
Al centro si poneva l’idea di una identità afrikaner.
Questo mix tra razzismo, dominio e sfruttamento delle migliori terre sudafricane e le idee “messianiche” di stampo calvinista-protestante degli afrikaner, permisero al National Party di assumere le redini del potere e di radicalizzare ancor più le differenze non solo razziali, ma anche etnico-tribali e di classe all’interno della società sudafricana.
Colui che rafforzò ancor più il sistema razzista e divisivo in Sudafrica fu Hendrik Verwoerd, ideatore del progetto governativo dei Bantustan, il cosiddetto Grand apartheid, di cui parleremo in un prossimo Articolo.
Silvia C. Turrin