La città di sabbia non ha un nome proprio. I nomi degli scomparsi della città sono scritti sulle pareti di sabbia. Li custodisce in silenzio dopo qualche settimana passata nel vento. Tornano indietro per nostalgia e di norma nei giorni di festa. Lunghe carovane colorate di polvere, camion perduti nella tempesta, velieri in cerca di un porto e mercanti di conchiglie. Tutti assenti all’appello del sindaco della città che si ostina a chiamarli uno per uno, col nome di famiglia, ogni mattina all’alba.
Poi la città di sabbia si mette in movimento. Escono prima i bambini che improvvisano tornei di calcio tra un pozzo senz’acqua e una canna. Seguono le donne che vanno lontano a cercare la sorgente e si mettono a vendere scatole di conserva scadute ai primi passanti ancora sonnolenti.
Tocca in seguito ai muratori, agli imbianchini e ai sarti che passano in giro con la macchina da cucire sulla testa e sbattono le forbici per attirare i clienti. I barbieri, come dappertutto, aprono tardi la porta del negozio, solo dopo averlo spazzato con cura. Le osterie, i ristoranti e l’unico hotel della città chiudono per mancanza di turisti e di orologio.
Il registro di nascita, di battesimo e di matrimonio non è aggiornato perché le pagine sono sparite in meno di un mese. I luoghi di culto sono visitati almeno una volta la settimana e le ditte telefoniche continuano a fare affari d’oro. Una chiamata costa un occhio della testa, specie se internazionale, con il prefisso che cambia ogni due giorni.
La biancheria dura quanto basta per arrivare a fine serata. I pochi tessitori artigianali ancora in attività organizzano sfilate di moda al lume di candela o quando c’è la luna piena. Si passa la sera a sfogliare calendari, vecchie riviste sportive e a raccontare storie che accadranno l’anno seguente. Alcuni organizzano serate teatrali, quiz con proverbi e, sempre sulla sabbia, redigono la lista dei diritti non ancora rispettati.
Un tribunale provvisorio si occupa dei casi di trasgressioni delle leggi in vigore nei confronti delle donne. Non esistono prigioni o matrimoni riparatori. Ogni reato di una certa importanza è punito con lavori di pubblica utilità. Tra questi c’è la tinteggiatura delle pareti esterne della città di sabbia. Altri invece sono invitati a riscrivere i nomi degli scomparsi.
Questi ultimi sono i cittadini onorari della città. Migranti perduti, donne incinte, madri che attendono i loro figli, amanti che mai si sono incontrati e quanti passati a fil di spada. I loro nomi sono scritti a mano sulle fondazioni della città e solo dopo una rara giornata di pioggia germogliano per qualche ora.
A questi si aggiungono, scortati da giovani donne e bambini vestiti a festa, gli ostaggi rapiti per denaro o per sbaglio. La loro cittadinanza è considerata precaria e limitata nel tempo. Mesi, anni, settimane, giorni o secoli. Tutto dipende dalle circostanze o, con maggiore probabilità, dalla direzione del vento. Li hanno portati via nel complice sonno e poi bendati per immaginare il mondo differente. Sono scortati da un’altra parte e, quando infine arrivano nella città di sabbia, non ricordano nulla dell’accaduto.
Il riscatto arriva in tempo o quando già soggiornano in città da qualche giorno. Profittano delle ferie per visitare i propri cari e fare il viaggio a ritroso. Si ritrovano tra loro e, malgrado l’età, giocano a nascondino nei giardini pubblici non custoditi. Occasionalmente parlano sottovoce dei loro rapitori e della vita che non sospettavano essere così distratta.
Loro, invece, arrivano assieme come in processione. La città si dilata per accoglierli. Si tratta dei bambini mai nati che portano, ognuno, un fiore di sabbia appena colto. Sono gli unici ad occupare l’intera piazza che, d’altronde, porta il loro nome per un’intera giornata lavorativa.
Tra loro si conoscono e formano un grande cerchio che si apre in continuazione per accogliere i nuovi arrivati. L’appello è rinviato al giorno seguente e quando tutto è pronto cominciano a cantare in silenzio l’unica canzone che hanno imparato a memoria prima di nascere. Assomiglia al suono di una brezza leggera.
P. Mauro Armanino, Niamey, 22 settembre 2018