Dal 22 al 24 ottobre 2024, si è svolta, nella città russa di Kazan, la riunione dei cosiddetti BRICS. In questo articolo vediamo di sintetizzare cosa s’intende per BRICS e quale ruolo ha l’Africa all’interno di questo gruppo.
I BRICS non sono una novità nel panorama istituzionale e geopolitico internazionale. Era il 2009 quando quattro nazioni – Brasile, Russia, India e Cina – hanno dato vita a questo gruppo di Stati, tra loro accomunati dal trend, sempre più accelerato, dello sviluppo delle loro economie. L’acronimo BRIC, inizialmente, si riferiva proprio alle iniziali di questi quattro Paesi fondatori.
La “S” si è aggiunta in seguito, con l’adesione, nel 2011, del Sudafrica. Nel corso del 2024, questo gruppo si è ulteriormente ampliato, con l’ingresso dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti, dell’Etiopia e dell’Iran. Da qui la scelta di trasformare l’acronimo in “BRICS+”.
Al di là di questi dettagli sul nome, è importante capire il ruolo di questi Stati e quale peso abbiano le nazioni africane (tre in tutto) che ne fanno parte.
Il primo aspetto innegabile è che, nell’arco di due decenni, questo gruppo sta crescendo, sia a livello economico, sia sul piano geopolitico e geostrategico. Passo importante è stata la creazione della “Nuova Banca di Sviluppo” con sede a Shanghai, istituita come alternativa alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Questa “Nuova Banca di Sviluppo” è stata concepita per promuovere una maggiore cooperazione finanziaria e di sviluppo economico tra gli Stati aderenti ai BRICS. A differenza per esempio del FMI, l’istituto con sede in Cina non esige riforme strutturali in cambio di prestiti: un aspetto non secondario per numerosi paesi africani e non.
È per questo che una delle richieste dei BRICS+ (in primis, a USA e Unione Europea), è proprio la riforma del FMI e di altre organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU. I BRICS+ chiedono la regola: “Uno Stato, un voto”.
Altri aspetti da considerare per valutare l’impatto dei BRICS+ a livello globale sono i seguenti: il loro PIL rappresenta il 28% di quello mondiale; l’insieme dei loro abitanti corrisponde al 45% della popolazione su scala globale.
Le richieste dei Paesi africani
All’interno dei BRICS+ spicca il ruolo del Sudafrica. In questa recente riunione, il Presidente Cyril Ramaphosa ha chiesto agli altri membri del gruppo di intensificare la loro cooperazione “lanciando programmi di sviluppo comuni nei settori dell’export, della cooperazione industriale e dello scambio tecnologico” e ha auspicato una riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC).
Presente al meeting di Kazan anche Abiy Ahmed, Primo Ministro dell’Etiopia, il quale ha voluto sottolineare l’unità dei BRICS+ per rendere il gruppo agente di trasformazione internazionale: “Insieme, possiamo difendere riforme che rispondano alle preoccupazioni dei paesi in via di sviluppo”, ha affermato Abiy Ahmed. Ha poi ricordato l’urgenza di una riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al fine di dare più spazio e voce alla rappresentanza dell’Africa.
Le dichiarazioni del presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sissi sono state più generiche, ponendo meno enfasi al concetto di unità africana.
Economia contro diritti umani
Da queste sintetiche informazioni è chiaro che alcuni temi imprescindibili per migliorare davvero le condizioni dei cittadini dei Paesi emergenti definiti BRICS+ non sono considerati. In particolare, il tema del rispetto dei diritti umani non è minimamente citato, così come non sono contemplate politiche volte alla giustizia sociale, alla tutela ambientale e allo sviluppo concepito in un’ottica green, ovvero senza l’impiego di energie altamente inquinanti come quelle fossili (petrolio e gas). Al centro dei dibattiti rimangono questioni puramente economiche.
Un altro aspetto – e lo si deduce chiaramente dalle varie immagini che riprendono le riunioni dei BRICS+ – è l’assenza delle donne sul piano decisionale. Il loro ruolo attivo risulta nullo o marginale, e ciò è un riflesso della struttura gerarchica e patriarcale della maggior parte delle nazioni che compongono i BRICS+. Un’eccezione è rappresentata dal Sudafrica, dove la presenza delle donne a livello politico-sociale è più marcata, anche grazie al ruolo della Commission for Gender Equality (Commissione per l’uguaglianza di genere).
E si ritorna ai punti iniziali di questo articolo. Se i BRICS+ premono esclusivamente sull’attuazione di riforme e politiche finanziarie, commerciali ed economiche non fanno altro che riproporre teorie e pratiche che non intaccano le dilaganti sperequazioni sociali interne ai loro Stati.
Riprendendo le analisi dell’economista indiano e Premio Nobel Amartya Sen, occorre dire che il PIL non può essere l’unico parametro per definire il benessere e lo sviluppo di uno Stato; occorre considerare l’uguaglianza, la libertà, l’efficienza e la giustizia. Aspetti, questi, trascurati anche nella recente riunione dei BRICS+.
Le lezioni lungimiranti di Amartya Sen continuano a essere inascoltate:
“Lo sviluppo non può davvero essere concepito come il processo di incremento di oggetti di uso inanimato, come l’aumento del Pil pro-capite, lo sviluppo industriale, l’innovazione tecnologica o la modernizzazione sociale. Naturalmente si tratta di conquiste notevoli, spesso cruciali, ma il loro valore deve essere fatto dipendere dall’effetto che producono sulle possibilità di vita e sulle libertà delle persone”.
Amartya Sen
Continuare a ragionare e ad agire secondo logiche tipiche del Novecento non può trasformare in meglio la società, sia che si guardi ai BRICS, sia che si guardi ai G7.
Non è un caso che António Guterres, Segretario Generale dell’ONU, abbia sottolineato che:
“nessun gruppo o paese può agire da solo o in maniera isolata. Per affrontare le sfide mondiali è necessaria una comunità di nazioni che operi come un’unica famiglia globale”.
E questo significa creare dialogo, abbattere muri e costruire ponti non tanto per far crescere l’economia (perché la crescita infinita non esiste), piuttosto per far crescere l’umanità.
Silvia C. Turrin