Suggestivi paesaggi naturali e un ricco patrimonio culturale, nonché tante tradizioni rendono questo stato africano della regione dei Grandi Laghi un luogo da conoscere, scoprire e preservare.
È uno di quei paesi africani che balza alle cronache internazionali quando accadono eventi drammatici, come è stato il caso del conflitto interno che lo ha destabilizzato negli anni Novanta. Il Burundi non è nemmeno considerato meta interessante dal turismo di massa e questo, forse, non è proprio uno svantaggio. Il suo patrimonio naturalistico può essere così salvaguardato con maggiore efficacia, senza incorrere nel pericolo della cementificazione e della creazione di enclave di lusso dove gli stranieri possono trovare tutti i comfort, come fossero a due passi dalle loro agiate case.
Incastonato tra Congo, Ruanda e Tanzania, questo piccolo stato della regione dei Grandi Laghi è caratterizzato da una rigogliosa verdeggiante vegetazione. Altopiani, paesaggi tropicali e savana contraddistinguono il suo territorio. Distante pochi chilometri dalla capitale Bujumbura si estende il Parco del Rusizi.
Il nome deriva dal fiume omonimo, che scorre lungo la fossa tettonica centrafricana prima di immettersi nel lago Tanganica. Divenuto parco nel 1974, il Rusizi ospita ippopotami, antilopi, primati, oltre che una variegata avifauna. Tra paesaggi coperti da foresta e altri dominati dalla savana, questo parco racchiude alberi di eucalipto, di acacia e la palma da olio.
La deforestazione minaccia i pigmei Batwa
Sebbene siano state istituite altre aree protette – ovvero il parco di Kibira e il Ruvubu – il Burundi come gli altri stati dell’Africa centrale è sempre sotto la minaccia della deforestazione. L’abbattimento di alberi è causato da vari fattori: la necessità di ottenere combustibile e la richiesta sempre maggiore di terre destinate all’allevamento o a scopi agricoli.
La deforestazione oltre a creare fenomeni di erosione del suolo e a provocare cambiamenti del microclima dell’area rappresenta un pericolo per i gruppi di pigmei che abitano ancora la foresta.
Questi piccoli abitanti della foresta chiamati Batwa vivono in simbiosi con le piante e gli animali. Il taglio indiscriminato di alberi ha causato gravi problemi ai Batwa che hanno visto progressivamente sottrarsi spazi vitali di foresta. Una situazione che causa profondi cambiamenti al loro stile di vita tradizionale. Molti vivono in condizioni di povertà, emarginati dagli altri gruppi etnici dominanti: Hutu e Tutsi.
Il governo di Bujumbura ha rilasciato a oltre 16mila pigmei Batwa una carta di identità, che permetterà loro di iscriversi nelle liste elettorali, di presentare candidature alle elezioni, nonché frequentare le scuole e ricevere cure mediche gratuite. Ma la situazione sociale in cui si trovano rimane difficile, tanto che molte ONG, cattoliche e non, hanno avviato progetti di aiuto, volti in particolare a sostenere la loro istruzione per impedire che non vengano più sfruttati, né relegati a ruoli inferiori, e soprattutto per sostenerli in un cammino che conduce al pieno riconoscimento dei loro diritti e della loro dignità.
Le danze rituali dei Batimbo
Più vantaggiati dal punto di vista sociale sono i Batimbo, gruppo etnico noto perché da sempre legato ai riti musicali. Sono infatti esperti creatori di enormi tamburi, costruiti con legno pregiato e pelli di animali, utilizzati durante le cerimonie tradizionali e reali. Il tamburo in Burundi e anche nel vicino Ruanda è considerato simbolo dell’autorità e del potere reale, tanto che in lingua kirundi (l’idioma ufficiale del Burundi insieme al francese) lo stesso termine ingoma significa sia “tamburo” sia “regno”.
Anticamente, i Batimbo avevano il compito di far risuonare i tamburi in occasione del muganuro, l’annuale cerimonia della semina del sorgo. Sono talmente importanti nella società burundese, considerati quasi depositari di segreti, che un proverbio locale narra: Chi ha fabbricato il tamburo sa meglio di chiunque cosa c’è dentro. Proprio per la loro rilevanza, il tamburo e la danza rituale del Burundi sono stati inseriti nella Lista del Patrimonio Immateriale dall’UNESCO.
Silvia C. Turrin
foto: wikimedia