È stato minacciato a morte, pochi giorni fa, mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, nella Repubblica Centrafricana. L’episodio, riferisce la stampa locale, è avvenuto al termine della visita del presule presso il villaggio di Gbangou, le cui abitazioni sono state distrutte da un incendio nel settembre scorso.
A minacciare l’arcivescovo, ed insieme a lui una delegazione della Caritas locale, è stato un giovane esponente delle milizie di autodifesa Anti-Balaka, il quale ha prima sequestrato una motocicletta della Caritas e poi, di fronte alle richieste di restituzione, ha minacciato di uccidere il presule e tutto il suo seguito.
“Un pastore può morire per le sue pecore”
Di fronte all’atto intimidatorio, mons. Nzapalainga ha mantenuto la calma e si è allontanato. In seguito, incontrando la stampa a Damara, ha minimizzato l’accaduto, ribadendo: “In quel ragazzo, vedo tutta la gioventù dell’Africa centrale ormai alla deriva, bisognosa di istruzione e formazione. Non ho nulla contro di lui e chiedo a chi gli sta accanto di aiutarlo ad uscire da questa situazione. Da parte mia, io faccio solo il mio lavoro di pastore che può morire per le sue pecore”.
Appello al disarmo ed alla conversione dei cuori
Successivamente, in un’intervista rilasciata all’emittente locale Radio Ndeke Luka, l’arcivescovo di Bangui ha illustrato l’attività compiuta dalla Chiesa centrafricana per soccorrere le popolazioni dei villaggi più abbandonati. In particolare, il presule ha ribadito la necessità di richiamare l’attenzione sulla popolazione in difficoltà, affinché non venga dimenticata e lasciata morire nell’indifferenza ed ha sottolineato che, oltre a ridare speranza e coraggio, la Chiesa mira anche a restituire dignità alle persone.
In quanto presidente della Caritas locale, inoltre, il presule ha ricordato che la carità è amore, ma non in senso astratto, bensì nel servizio che si presta al prossimo. Di qui, l’appello “formale e vibrante” affinché si depongano le armi e si convertano i cuori, con una responsabilità ed una presa di coscienza comune di tutta la popolazione centrafricana per lavorare alla ricostruzione della nazione.
Oltre 2mila morti per la guerra civile
Paese da circa due anni teatro di una sanguinosa guerra civile, che ha causato quasi 2 mila morti e decine di migliaia di sfollati, il Centrafrica vede sui due fronti opposti gli ex ribelli Seleka e i miliziani Anti-Balaka, fedeli all’ex presidente Bozizé, deposto nel marzo 2013. In questo contesto, l’opera della Chiesa è molto apprezzata dalla popolazione e dalle autorità nazionali, perché essa sostiene materialmente e conforta spiritualmente le vittime principali del conflitto.
a cura di Isabella Piro
Foto: comboni.org