Era il 24 marzo 2020. P. Pier Luigi e Nicola hanno declinato la loro identità nel video che ha fatto il giro del mondo. Avevano entrambi fatto esperienza di un feroce confinamento prima ancora che questa particolare esperienza diventasse, seppur con modalità e finalità diverse, comune ad altre persone. La cattività, drammatica cifra della violenza applicata alle relazioni umane, appare come la sottrazione di ciò che costituisce la dignità dell’umano e cioè la libertà di movimento.
Nel Niger, Paese nel quale e col quale P. Pier Luigi ha vissuto ben oltre una fruttuosa decade, il confinamento era cominiciato ancora prima. Per esempio numerosi migranti, incarnazione allo stato puro del diritto umano alla mobilità, erano stati bloccati o, se vogliamo, confinati, dalle misure conseguenti all’esternalizzazione delle frontiere dell’Occidente.
Parafrasando si potrebbe dire che Cristo si è fermato ad Agadez, a tutt’oggi snodo decisivo per coloro che cercano di raggiungere il nord Africa e il Mediterraneo. La presunzione del ‘delitto’ di migrazione irregolare ha giustificato un arsenale di misure deterrenti alla libertà di circolazione delle persone. Pattuglie militari, controllo delle frontiere, centri di detenzione e messe in quarantena con la complicità del ‘Coronavirus’, sono alcune delle misure instaurate nel Paese, fedele alleato dell’Occidente.
Ciò che esperimenta P. Pier Luigi da ormai 19 mesi è una delle forme più brutali del confinamento. Il suo rapimento e la sua prigionia sono una metafora di quanto altrove è preso come misura di contenimento del diritto alla mobilità. La sottrazione di P. Pier Luigi alla sua gente, alla sua famiglia e alla Chiesa locale sono una ferita aperta a tutt’oggi.
Il primo confinamento è quello della mente. Prime vittime coloro che hanno perpetrato il misfatto e poi tutti gli altri, che hanno permesso alla religione di armare Dio e farne un pretesto per riconfezionare la società. Dio è stato confinato in una ideologia mortale che continua a seminare violenza e distruzione. Le migliaia di persone uccise e sfollate, nel nostro Sahel, si contano a migliaia. I danni umani e materiali sono incalcolabili e saranno necessari giovani di buona volontà per rigenerare un tessuto sociale compromesso da odi, divisioni e desideri di vendetta.
Di tutto ciò e altro P. Pier Luigi è diventato una ineludibile metafora. La nostra speranza, legata a probabili trattative sul prezzo del riscatto da pagare ai rapitori, è al contempo un’esperienza pasquale. Il Cristo, quello che si è fermato ad Eboli e poi ad Agadez, è entrato dove si trovavano i suoi amici, malgrado le porte chiuse, con un saluto di pace.
P. Mauro Armanino, Niamey, 17 aprile 2020