Accade in Senegal. I contadini e i pescatori della regione senegalese di Niafrang si sono mobilitati per dire il loro “No!” alla miniera di zircone.

Lo zircone, dicono i geologi, appartiene al gruppo dei nesosilicati. È annoverato fra le gemme più antiche della Terra. È di colore molto scuro. In Australia occidentale ne è stato rinvenuto un minuscolo frammento che risalirebbe addirittura 4,4 miliardi di anni fa. È sfruttato in Tailandia e nello Sri Lanka. Lo si trova in piccolissimi frammenti incastonati su rocce granitiche, o mescolati con certi tipi di sabbie. È un metallo molto ricercato nell’industria chimica ed è utilizzato nella fabbricazione dei reattori nucleari.

La multinazionale australiana Astron, basata a Hong Kong, ha scoperto recentemente che ne è molto ricca la sabbia delle dune di Niafrang, villaggio di contadini e pescatori della regione della Casamance, nel sud del Senegal. Hanno presentato al governo un progetto per aprire una miniera.

Ma gli abitanti non ci stanno, e hanno moltiplicato le iniziative di protesta. La nuova miniera rimuoverebbe le dune naturali che da sempre proteggono i campi contro l’avanzata delle acque del mare. Senza di esse le coltivazioni di riso sarebbero costantemente in pericolo di inondazione dal mare. Inoltre l’Astron, per sfruttare lo zircone, sarebbe obbligata a distruggerebbe le mangrovie del litorale, tipici alberi che affondano le loro radici nell’acqua salata, e che attirano i pesci di cui si nutre la popolazione.

La radio francese RFI ha incontrato alcuni abitanti di Niafrang. Salif Diassy: “Noi siamo coltivatori, ed è con i nostri prodotti che mangiamo noi e i nostri figli. Se la miniera verrà aperta, nei periodi di piena il fiume alla sua foce non troverà più le dune che fanno da argine, e noi perderemo le nostre terre. I nostri figli morirano di fame.”

Secondo Fatima Diallo, avvocato, un metodo di lotta è quello giudiziario, appellandosi contro la decisione del governo di dare in concessione le sabbie del villaggio alla Astrom. C’è un diritto fondiario tradizionale che il governo deve rispettare. E poi, afferma, gli abitanti possono fare causa all’impresa australiana per i danni che provocherà alle coltivazioni.

Gli abitanti, almeno, hanno ottenuto di bloccare l’inizio dei lavori, che era già programmato alla fine dell’anno scorso.

P. Marco Prada

Foto: sito peaceinsight.org