Le Nazioni Unite e varie organizzazioni umanitarie hanno lanciato un allarme: nel Corno d’Africa 13 milioni di persone rischiano la fame nei prossimi mesi. Una situazione causata dalla grave siccità che colpisce ormai da tempo questa zona del continente africano.

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Sono infatti trascorsi ben tre anni dall’ultima, vera stagione delle piogge in Kenya, Etiopia e Somalia. La mancanza di acqua sta innescando una pesante condizione di aridità che non si registrava dal 1981.

È stato il Programma alimentare mondiale – agenzia dell’ONU che si occupa di assistenza alimentare – a lanciare l’allarme attraverso la voce di Michael Dunford, Direttore regionale del PAM nell’Africa Orientale, il quale ha dichiarato:

«I raccolti sono rovinati, il bestiame muore e la fame aumenta […]  e le previsioni di precipitazioni inferiori alla media nei mesi a venire non fanno che aggravare la situazione».

Varie organizzazioni impegnate in Africa chiedono a gran voce un’azione umanitaria immediata, per non ripetere quanto è accaduto anni fa in Somalia. Il riferimento è all’anno 2011, quando 250mila persone sono morte di inedia a causa di una prolungata siccità.

Non solo emergenza climatica

Ciò che sta accadendo nel Corno d’Africa deriva da una serie di fattori. Cambiamenti climatici e riscaldamento globale hanno un impatto sempre più pesante sul settore agricolo. Paesi come la Somalia stanno conoscendo negli ultimi decenni una crisi idrica. Come si è accennato, già nel 2011 si era verificata una situazione drammatica, dovuta alla mancanza di pioggia. I terreni somali arsi dal sole furono persino osservati dallo spazio grazie al satellite SMOS dell’ESA, che aveva rilevato un bassissimo – se non addirittura inesistente – grado di umidità del suolo tra i mesi di aprile e luglio di quell’anno. Questo fenomeno si registra in molte altre zone dell’Africa Orientale.

Il problema della siccità si intreccia con l’aumento dei prezzi degli alimenti di base – come i cereali – già verificatosi nel recente passato. Ricordiamo che tra il 2007 e il 2008 il valore del grano era aumentato del 130% sui mercati mondiali e il prezzo del riso di quasi il 90%. Anche i prodotti derivanti dal latte avevano subito una crescita (del 58%). La pandemia ha certamente aggravato i problemi, mettendo ancor più in luce tutte le contraddizioni sociali ed economiche del sistema globale.

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L’Africa, purtroppo, si trova al centro di una “tempesta perfetta”, in cui confluiscono vari elementi: dall’aumento dei prodotti petroliferi all’emergenza climatica, dagli effetti della pandemia a un mutamento negli stili di vita di numerosi popoli (in primis i cinesi) che incidono in modo indiretto sui prezzi degli alimenti di base. Inoltre, in molte zone rurali viene ancora praticata un’agricoltura di sussistenza, che risulta più debole e meno preparata ad affrontare insieme crisi climatica, crisi pandemica e crisi economica.

Quando ci si trova di fronte alle carestie – oltre che alle guerre – i più colpiti sono sempre i più fragili e indifesi, ovvero i bambini. La situazione che si è venuta a creare in Africa Orientale minaccia oltre 5 milioni di bimbi, che soffrono già di uno stato di malnutrizione.

Le Nazioni Unite e varie organizzazioni, tra cui Unicef e Save the Children, chiedono aiuti umanitari immediati per i paesi del Corno d’Africa afflitti dalla siccità e dal pericolo di carestia. Questi sostegni sono fondamentali nel breve-medio periodo, ma non bastano per risolvere situazioni che non sono più eccezioni, o eventi straordinari.

Occorre affrontare seriamente la questione dell’emergenza climatica, perché l’Africa è il continente che risente maggiormente degli effetti devastanti del riscaldamento globale, nonostante non abbia prodotto quei livelli di anidride carbonica responsabili dell’aumento delle temperature in atto sul pianeta.

I rifugiati ambientali provenienti dall’Africa si stanno inserendo sempre più nei flussi delle rotte dei migranti, aggiungendosi a tutti coloro che scappano dalle loro terre a causa delle guerre, della povertà e dell’insicurezza alimentare. Questione climatica, questione sociale, disparità economiche, crisi del settore agricolo, spopolamento delle campagne: sono temi che interessano varie nazioni, non solo africane. Ma l’Africa rimane un continente fragile, come sottolineano vari recenti studi.

Per esempio, il nuovo rapporto del Fondo Internazionale delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Agricolo (Ifad) mette in guardia: entro il 2050 la produzione di cibo in Africa potrebbe crollare sino all’80% proprio a causa  dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale. Per evitare che ciò accada, i governi africani, in collaborazione con i Paesi del Nord, dovrebbero sostenere le comunità dei piccoli agricoltori, al fine di aiutarli ad adattarsi ai cambiamenti climatici in atto.

Parallelamente, ciascuna nazione occorre che si impegni concretamente ad abbandonare un sistema economico-produttivo fondato sui combustibili fossili per inaugurare un nuovo approccio basato sulle rinnovabili e su alternative sostenibili. Abbiamo già perso parecchi anni, se non decenni. E i climatologi avvertono: non c’è più tempo da perdere, nemmeno per l’Africa.

Silvia C. Turrin

Foto: wikipedia.org