Nel momento in cui scriviamo (metà marzo 2020) nel continente africano i casi di contagio legati al virus COVID-19 sono bassi rispetto all’Asia e all’Europa. Ma i dati più recenti fanno aumentare i livelli di attenzione e di preoccupazione.
Tra il 13 e il 14 marzo sono stati registrati quasi 200 casi di contagio nell’Africa Subsahariana. Le nazioni toccate sono: Gabon, Ghana, Kenya, Etiopia e Sudan (dove è stato confermato il primo morto). Altri nuovi casi si sono registrati in Guinea e in Mauritana. Il Paese sinora maggiormente coinvolto rimane il Sudafrica con 24 casi di contagi: si tratta di persone che hanno viaggiato per vari motivi in Europa.
La fragilità dei sistemi sanitari
In questa fase così delicata le autorità di molti Stati stanno cercando di prevenire il diffondersi del contagio. La parola d’ordine è impedire il diffondersi del virus per evitare la crisi e il collasso di sistemi sanitari spesso deboli, carenti di macchinari e strutture adatte per affrontare un picco di contagi. Preoccupazioni sono emerse per esempio in Zimbabwe, dove il sistema sanitario nazionale si trova in una fase di crisi ed è incapace di gestire un eventuale aggravarsi della diffusione di COVID-19, come ha dichiarato il dottor Norman Matara all’Agenzia France-Presse (AFP). Anche il sistema sanitario sudafricano è fragile, per varie ragioni, dettate anche dalla profonda crisi economiche che il Paese vive da anni.
Un virus nato in Cina e poi importato dall’Europa
Il dato emblematico è che la maggioranza dei casi di coronavirus registrati in Africa sono da imputare all’arrivo di europei o di africani che hanno viaggiato in Europa. È per questo che molti stati africani stanno adottando misure preventive e di contenimento. Il Gabon ha deciso la chiusura di tutte le scuole, almeno sino al 30 marzo. La Tunisia, in cui vi sono 16 casi confermati nel momento in cui scriviamo, ha chiuso le sue frontiere marittime e ha posto restrizioni per i voli provenienti dall’estero, in particolare quelli dall’Europa. I passeggeri devono rimanere in quarantene per due settimane. In altre nazioni, come in Guinea, sono stati vietati assembramenti con oltre cento persone. Anche in Kenya sono stati sospesi adunanze e ha interrotto i voli dall’Italia. Anche il Sudan del Sud ha posto divieto a tutti i voli provenienti dall’estero. L’Africa tutta si sta mobilitando per prevenire la diffusione del contagio. La paura rimane, soprattutto nelle township, ovvero in quelle aree periferiche e povere delle grandi megalopoli africane.
Sostegno dall’OMS e la lezione di ebola
I vari Paesi stanno cercando di coordinarsi e di adottare misure concertate. È stato per esempio creato un gruppo di lavoro africano sul coronavirus (AFCOR) e sono stati creati vari centri di controllo e di prevenzione delle malattie (CDC) . Ma l’Africa non è sola. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sta supportando i vari paesi africani nella prevenzione e gestione di COVID-19. L’OMS ha fornito un kit per identificare il virus, e ha distribuito un insieme di medicinali per trattare i sintomi. Alcuni esperti internazionali affermano che i Paesi dell’Africa occidentale hanno appreso importanti nozioni e lezioni dalle recenti epidemie di ebola. Ma altri esperti, come Éric D’Ortenzo, medico epidemiologico dell’Inserm che danni si occupa di malattie infettive, sottolineano la profonda differenza tra ebola e COVID-19: la prima si trasmette tramite io contatto con i fluidi, mentre la contaminazione da coronavirus avviene per via aerea. Si comprende che la lotta contro la propagazione non è la stessa.
L’aumento delle malattie infettive
I ricercatori dell’Isern (l’Istituto nazionale francese per la ricerca sulla salute e la medicina), già nel 2018, avevano evidenziato l’aumento preoccupante di malattie infettive trasmissibili. Ebola, Zika, Lassa, Dengue sono tutte malattie causate da virus.
Nella sola Nigeria, dall’inizio del 2020, si sono registrati 132 morti a causa della febbre emorragica Lassa. Questa malattia ha un tasso di mortalità del 23%, mentre quello del coronavirus è di circa dl 2%. Il virus si chiama Lassa in riferimento all’omonima città nigeriana dove è stato identificato per la prima volta, nel 1969. Il virus Lassa è endemico oltre che in Nigeria, anche in Guinea, in Liberia e in Sierra Leone.
(a cura di) Silvia C. Turrin
Foto: Global Voices; Croce Rossa Internazionale