Torna da sua madre dopo sette anni con quattro valigie e due borse altrettanto pesanti. Coulibaly, dpo aver rubato i soldi del viaggio alla mamma era partito, con una dozzina d’amici, per diventare un campione di calcio in Tunisia.
Aveva giusto 13 anni quando gli avevano presentato una coppia di adulti che, dietro compensazione, potevano dargli un futuro come calciatore in Nord Africa. Sul retro di un Toyota ‘pick-up’ si ritrova, senza saperlo, con i compagni di gioco nella citta di Sebha, in Libia. Scorrono un paio di mesi attorno a casa, giocando a pallone e attendendo istruzioni per la tappa seguente.
Arrivati a Tripoli gli amici scoprono di trovarsi in Libia e si accorgono della scomparsa della coppia, dileguatasi coi soldi e le speranze. Imprigionati in una casa della città, dopo qualche tempo riescono a fuggire ognuno per conto suo. Coulibaly trova lavoro in un ristorante per migranti come lavapiatti presso alcuni nigerini di lingua hausa.
Non ha nessun desiderio di tentare di attaversare il mare e, aiutato da un ‘passeur’ egiziano a cui ha versato 130 euro, raggiunge l’Algeria. Dopo qualche peripezia raggiunge la periferia della capitale dove lavora per un paio d’anni come manovale. Decide infine di cercare lavoro ad Algeri e impara il mestiere di imbianchino.
Coulibaly rimane in Algeria dal 2016 fino all’anno in corso. Stanco di nascondersi alla vista dei poliziotti e militari che deportano i migranti, è il pensiero d’aver tradito la fiducia di sua madre Aicha, che lo spinge a prendere la decisione di tornare a casa. Tramite un amico incontra un’associazione umanitaria che aiuta i migranti a fare la strada di ritorno.
Sul cammino di Tamanrasset è fermato e derubato da alcuni militari algerini di quanto aveva messo da parte per rimborsare quanto sottratto a suo tempo alla madre. Gli hanno portato via i suoi 300 euro e la somma che l’associazione aveva offerto per il viaggio.
Arrivato a Tamanraset trova alcuni nigerini coi quali può conversare nella stssa lingua imparata a Tripoli e passare per un originario del loro stesso Paese. Lo portano con loro fino alla città di Tahoua al nord del Niger.
Coulibaly, per continuare il viaggio fino a Niamey, si trova costretto a vendere alcune preziose paia di scarpe che aveva comprate in Algeria e messe da parte per la madre e la sorella maggiore. Ottiene i soldi sufficienti per pagarsi il biglietto fino alla capitale del Paese e chiede aiuto per continuare il viaggio a ritroso fino ad Abidjan, la capitale economica dell Costa d’Avorio. L’aveva abbandonata da sette anni, ancora bambino.
Le frontiere da attraversare per raggiungere il suo Paese sono chiuse a causa del recente colpo di stato nel vicino Burkina Faso. Dovrà pagare un triciclo che trasporti i suoi bagagli, nei quali ha ammassato scarpe, vestiti e sette anni della sua vita, da una parte all’altra della frontiera.
Dice di aver portato tutte queste mercanzie per farsi perdonare da sua madre che l’aspetta con la coscienza di averle procurato angosce e sofferenze per la sua nascosta partenza. Coulibaly, partito a tredici anni torna più che ventenne a casa e dice di non rimpiangere nulla del vissuto, a parte il furto iniziale.
Sa leggere ma non scrivere e dice che, dopo un tempo di riposo, cercherà lavoro come imbianchino e andrà a scuola per imparare a scrivere la sua storia. Afferma di essere contento perché ancora vivo dopo quanto vissuto. Una metà delle sue borse contengono scarpe per ogni misura e occasione. Giura che le ha portate per andare lontano.
P. Mauro Armanino,
Niamey
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