I Tamberma vivono sui monti dell’Atakora, nel nord-est del Togo. Padre Silvano Galli, anni fa, ha avuto l’occasione di visitare i loro villaggi. Grazie alla sua preziosa testimonianza scopriamo uno dei tanti aspetti di quell’Africa diventata patrimonio mondiale dell’umanità.

I Tamberma vivono sui monti dell’Atakora, una catena di montagne situata nel nord-est del Togo, che sconfina nel Benin. Grazie a un amico locale, Dissani, p. Silvano era riuscito a raggiungere il sito di Koutammakou, Patrimonio mondiale dell’Unesco.

La strada per arrivarci non era delle più agevoli. Anche lungo la pista che attraverso il sito protetto dall’Unesco non sono mancate le difficoltà, a causa delle pozze d’acqua e del fango.

Lungo la pista, ai bordi, p. Silvano racconta di aver visto le takyiènta.

Sono costruzioni a castello, disseminate nei prati, nei boschi, sulle colline. Sono le abitazioni dei Batammariba, una popolazione di circa 270 mila unità, chiamate in Togo Tamberma, e in Benin Somba. La loro lingua è il ditammari”, spiega p. Silvano.

Facendo tappa a Pimini, quartiere del borgo di Nadoba, p. Silvano ha avuto l’occasione di osservare da vicino proprio le takyiènta.

Si tratta di abitazioni simili a vere fortezze in terra, di un’altezza tra i tre e cinque metri, delle prodezze architettoniche. Di solito sono attorniate da grandi alberi. Le forme e le dimensioni variano a seconda della località, l’epoca e lo statuto sociale del proprietario. In genere, si presentano in questo modo: un insieme di abitazioni a due piani, riunite da un muro e una terrazza superiore.

Al centro, la dimora principale attorno alla quale sono costruite le altre, la cui altezza raggiunge tre o quattro metri. Il pianterreno della dimora principale è riservato agli antenati. Attorno alla camera degli antenati ci sono dei vani riservati al pollame, una cucina, e altri vani per le capre, altri che servono da ripostiglio, per deporre la legna o altri utensili. Si accede ai piani superiori e alla terrazza tramite dei tronchi d’albero in forma di forca in cui sono intagliati degli scalini. Si entra, uno alla volta, da una un’unica apertura, rivolta verso ovest, che dà accesso ad un vano senza luce.

Sopra la stanza degli antenati si trova la camera del proprietario e della sua sposa con un diametro di circa due metri. La camera dei bambini è situata sopra l’entrata e il granaio. Sulla terrazza ci sono altri vani rotondi, delle torrette, sulla sommità delle quali si fanno essiccare i cereali, per esempio miglio e fonio. Al centro della terrazza un’apertura per l’aerazione. Davanti, o attorno, ad ogni takyiènta c’è una serie di steli, di diverse dimensioni, specie di piccoli dolmen. Uno, più grande, sembra dominare tutti. Alla sommità di ognuno una ciotola rovesciata.

P. Silvano ha avuto modo di notare quegli oggetti usati per preparare cibi impiegati per quei riti connessi ai sacrifici.

Gli steli rappresentano varie divinità, per esempio kuyié è la divinità suprema, altri steli simboleggiano divinità protettrici, altri gli antenati, e i più piccoli steli la selvaggina che gli antenati cacciatori catturavano.

Agli antenati e alle divinità la popolazione offre le primizie dei raccolti, e dei sacrifici.

“I Batammariba vivono in comunione con la natura, gli animali, le divinità familiari, sotto la protezione degli antenati e l’occhio vigile di Kouyé, la divinità suprema. L’uomo, gli animali, e gli elementi della natura sono intrinsecamente legati, vivono fra loro in armonia, dipendendo gli uni dagli altri”, conclude p. Silvano.

Un bel racconto di scoperta e di vita dal Togo, ancora attuale, che testimonia il rispetto di queste antiche popolazione verso la Madre Terra.

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