Un Natale triste per i bambini del Sahel, che non sanno ancora quando potranno ritornare a scuola. Lo denuncia l’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr): 4.000 scuole chiuse, 700.000 bambini che non hanno la possibilità di studiare, 20.000 insegnanti impediti di fare lezione.
Un quadro drammatico quello del Sahel: “tra Burkina Faso, Mali, Nigersi contano circa 3,5 milioni fra sfollati interni e rifugiati. In più, 6 milioni di persone, tra cui moltissimi bambini, vivono in condizioni di povertà estrema e di insicurezza costante”, sottolinea Chiara Cardoletti, rappresentante dell’Unhcr per l’Italia.
Nel Sahel in quei anni si sono moltiplicati i conflitti: tensioni e scontri tra le varie comunità etniche, dedite all’allevamento o all’agricoltura, in competizione per il controllo delle terre irrigate e delle sorgenti di acqua; attacchi ai villaggi per opera di fondamentalisti e terroristi islamici; conflitti provocati da trafficanti di armi, di esseri umani e di risorse minerarie estratte illegalmente (oro, diamanti).
Spaventose le conseguenze per i minori: le bambine rapite e costrette a matrimoni precoci, i ragazzi strappati alla scuola, arruolati con la forza e indottrinati con le ideologie islamiste.
I militari degli eserciti governativi non sono da meno: spesso si impadroniscono degli edifici scolastici che trasformano in caserme, espellendo alunni e insegnanti.
Per un bambino rifugiato, non andare più a scuola significa rimanere inerme ed esposto a pericoli come violenze sessuali e di genere, sfruttamento lavorativo, matrimoni e gravidanze precoci, reclutamento forzato in gruppi armati.
Non ultimo: non poter proseguire nel percorso di istruzione e formazione si traduce, nel tempo, nell’impossibilità per i bambini rifugiati e sfollati di affrancarsi dalla condizione di povertà e di marginalità in cui vivono.
Foto: hrw.org; koaci.com ; france.aide-et-action.org