di Silvia C. Turrin

Nel 1978 scoppiò la guerra tra la Tanzania e l’Uganda. Un drammatico evento che, all’epoca, incise molto sull’economia di entrambe le nazioni. Le tensioni tra i due paesi si erano manifestate già all’inizio degli Settanta, quando il generale Idi Amin Dada, comandante delle forze armate ugandesi, attuò un colpo di Stato in Uganda.

Una scelta di fatto preventiva, poiché l’allora presidente ugandese Milton Obote era sul punto di chiederne la carcerazione. Amin era considerato una potenziale minaccia per la stabilità interna dell’Uganda. E difatti così è stato. Con l’appoggio di fidati militari, Amin si proclamò presidente a vita e instaurò una feroce dittatura, tanto che gli oppositori politici venivano giustiziati barbaramente. Si calcola che in otto anni di dittatura siano state uccise 300mila persone, molte delle quali appartenenti all’etnie Acholi e Lango.

Idi Amin Dada

Nacque nel 1925 nell’area di Koboko, nel West Nile, distretto del nord-est dell’Uganda, in una piccola comunità musulmana, chiamata Kakwa. La data esatta della nascita non è reperibile da fonti storiche attendibili, come pure sono incerte le notizie riguardanti l’educazione. Sicuro è invece il suo arruolamento nelle forze coloniali britanniche (King’s African Rifles), nel 1946. Idi Amin s’impose per la notevole corporatura: alto più di un metro e novanta, pesava oltre novanta chili (non a caso, dal 1951 al 1960 fu campione ugandese dei pesi massimi di boxe).

Come soldato servì l’Impero britannico in Birmania, in Somalia e in Kenya. Fu qui, durante la rivolta del movimento dei Mau Mau soppressa con un bagno di sangue dagli inglesi, che Idi Amin si distinse per la sua crudeltà. Nel 1962, venne mandato dai britannici a contenere gli scontri tra Turkana e Karamojong, riuscendo nell’operazione. In seguito, nella zona fu scoperta una fossa comune dove vennero rinvenuti Turkana picchiati a morte o sepolti vivi.

Nel frattempo, l’Uganda stava avviando il processo di indipendenza, avvenuta nel 1962, rimanendo nell’ambito del Commonwealth. Primo capo di governo fu Apollo Milton Obote dell’Uganda People’s Congress (UPC). Nel 1963 fu proclamata la Repubblica, ma l’Uganda cadde sotto il regime di tipo autoritario di Obote, che soppresse tutti i partiti d’opposizione. Con un colpo di stato, nel 1971, Idi Amin, diventato generale, depose Obote, avviando una dittatura ben più feroce di quella del predecessore. Secondo Amnesty International, sotto il suo regime spietato e sanguinario, dal 1971 al 1979, morirono oltre 300mila persone.

Nyerere – insieme a Kenneth Kaunda e Seretse Khama, rispettivamente presidenti di Zambia e Botswana, – fu uno dei pochissimi capi di stato africani a condannare gli abusi perpetrati da Amin, e fu l’unico, nel 1975, a parlare apertamente di “massacri, oppressione, torture”. Amin, nel frattempo, cancellò le vecchie simpatie verso la Gran Bretagna ordinando la nazionalizzazione di molte aziende presenti in Uganda e gli oppositori al suo regime continuarono a essere uccisi. La guerra voluta dal generale Idi Amin contro la Tanzania gli si rivolse contro, costringendolo a scappare dall’Uganda. Il suo esilio durò sino alla morte.

Dopo il colpo di Stato del generale Amin

Obote fu costretto alla fuga e trovò protezione nella vicina Tanzania. Il socialista cattolico Julius Nyerere (primo Presidente della Tanzania indipendente) lo accolse, fornendo protezione a lui e ai seguaci lealisti. Proprio per tale motivo, le tensioni alla frontiera tra Uganda e Tanzania si susseguirono.

Il regime di Amin accusò la nazione confinante di ospitare e di sostenere i suoi avversari politici. Intanto in Uganda la situazione sociale ed economica diventò sempre più insostenibile, in particolare dopo l’espulsione dal paese di 80mila asiatici. Furono soprattutto gli indiani a essere costretti a lasciare il paese, lasciando un vuoto economico, poiché detenevano le redini di importanti imprese e di primari rapporti commerciali con l’estero. I loro beni vennero confiscati, con la motivazione ufficiale di distribuirli agli ugandesi. Di fatto, venne tutto accaparrato da Amin e dalla sua cricca di amici militari.

La miccia che portò allo scoppio della guerra

Julius Nyerere, primo Presidente della Tanzania indipendente

Nel 1974 ci fu un tentativo di sovversione interna, ma le forze di Amin riuscirono a ripristinare lo status quo del regime. In una situazione così instabile, nell’ottobre 1978, il regime del dittatore ugandese occupò la provincia settentrionale della Tanzania. Fu questa la miccia – dopo tante provocazioni – che provocò l’inizio della guerra tra Uganda e Tanzania. Nyerere fu costretto a reagire e a intervenire all’invasione della regione di Kagera, nel nord-ovest del paese. Con l’appoggio dell’esercito di liberazione nazionale ugandese, soldati tanzaniani entrarono in Uganda.

A sostegno di Amin, intervenne il generale libico Gheddafi inviando oltre duemila soldati. Appoggi alla Tanzania giunsero dall’Algeria, dall’Angola e dal Mozambico. Dopo pochi mesi, nell’aprile 1979 le forze tanzaniane e quelle ugandesi di liberazione raggiunsero la capitale Kampala, deponendo il vecchio regime. Il generale Amin riuscì a scappare rifugiandosi prima in Libia, poi in Arabia Saudita, dove visse immerso in un ambiente lussuoso sino alla morte avvenuta nel 2003.

La guerra contro la dittatura in Uganda è stata inevitabile, dopo l’invasione delle truppe di Amin in territorio tanzaniano. Il conflitto divenne un peso per l’economia della Tanzania, incidendo sull’andamento della crescita interna. Sebbene Nyerere fosse contrario a ogni tipo di guerra fra Stati, in quel caso fu costretto dalla situazione. Dopo l’invasione delle forze ugandesi di Amin della regione di Kagera, non ebbe alternativa se non quella di rispondere con la forza.

I figli della riconciliazione

Godfrey Madaraka Nyerere e Jaffar Remo

Godfrey Madaraka Nyerere e Jaffar Remo Amin

La guerra tra l’Uganda di Idi Amin e la Tanzania di Julius Nyerere lasciò nei due paesi profonde ferite. Per sanarle, i rispettivi figli di Amin e di Nyerere – ovvero Jaffar Remo Amin e Godfrey Madaraka Nyerere – si impegnarono in un’impresa speciale: l’ascesa del monte Kilimanjaro.

Rielaborando le scelte e gli errori dei rispettivi padri, Godfrey Madaraka Nyerere e Jaffar Remo Amin, rimasti a lungo distanti a causa della politica e della guerra, hanno cercato il dialogo e la riconciliazione attraverso la scalata al “tetto d’Africa”, un cammino difficile, fisico e al contempo interiore. Raggiunsero insieme per la prima volta la vetta del Kilimanjaro nel 2010, nel mese di dicembre, per poi ripetere l’impresa nel settembre 2011 con la troupe di James Becket, regista autore del documentario Son of Africa, che narra proprio il cammino di questa riconciliazione.

«La guerra tra Uganda e Tanzania fa parte della nostra storia collettiva ed è un’importante lezione per tutti noi, affinché non ripetiamo in un prossimo futuro gli stessi errori. Insisto anche col dire che né Jaffar, né io dovremmo essere coinvolti nel passato dei nostri paesi e nelle azioni dei nostri padri. Loro hanno dovuto fare quello che consideravano fosse necessario in quella determinata fase storica. Noi possiamo guardare al passato per imparare, ma dovremmo concentrarci sul futuro e su che cosa potremmo fare insieme, sia come nazioni, sia come individui che vivono in queste due terre tra loro confinanti». Godfrey Madaraka Nyerere, figlio di Julius Nyerere

Foto: wikipedia; Madaraka Nyerere