1992. Gabriel vive a Bujumbura, in Burundi, in un quartiere di espatriati. Suo padre è francese, sua madre del Ruanda.

Ha una sorella più piccola, Ana, e una banda di amici inseparabili – Gino, Armand, i gemelli – cresciuti insieme a lui nel vicolo: le loro giornate cominciano quando finisce la scuola e viene il momento delle case sugli alberi, dei furti di manghi nei giardini degli altri, delle avventure lungo il fiume, delle chiacchiere sbruffone e sognanti dentro il guscio di camioncino che è il loro quartier generale.

Poi i genitori che si separano, le prime elezioni del paese, la guerra civile: Gaby credeva di essere soltanto un bambino e si scopre meticcio, tutsi, francese. Il papà vuole spedire tutti in Europa, la mamma decide di restare, strappata a metà, trasformata per sempre dai lutti più feroci: in un attimo la paura rovescia tutto, invade le vite di tutti, mette fine all’infanzia e costringe ad andarsene, a disperdersi, a perdersi.

Passeranno anni prima che Gaby faccia ritorno nel suo piccolo paese, alla ricerca della sua età d’oro, o di quello che ne è rimasto. Vincitore del Prix du roman Fnac e del Prix Goncourt des lycéens 2016.

Il libro:

Gael Faye, Piccolo paese, traduzione di Mara Dompé, Bompiani, Firenze-Milano, 2017, pagg.192, € 16

Recensione di Lina D’Alessandro, dal sito leggereacolori.it:

La voce narrante di Piccolo paese è quella di Gabriel, Gaby per tutti, figlio di un francese, titolare di un’impresa edile che costruisce ponti e strade, e di una ruandese, nostalgica del suo paese ma desiderosa di andarsene a Parigi con la famiglia. La coppia vive in Burundi, a Bujumbura, a cinquanta chilometri dal confine ruandese, insieme ai figli Gabriel, dieci anni, e Ana, sei anni.

La vita agiata in una casa benestante con cuoca, servitù, autista e aiutanti vari, procede serena: dopo la scuola Gaby trascorre il tempo con Armand, figlio di un ambasciatore, Gino, amico del cuore, e due gemelli. Lunghi pomeriggi avventurosi a rubare manghi, a rivenderli, a rifugiarsi sugli alberi, a bighellonare nel vicolo del quartiere dove conoscono un po’ tutti.

I genitori di Gaby e Ana si separano: la mamma non accetta di restare in Burundi e va via , tra la sua gente, in Ruanda. È un duro colpo per i due bambini , che restano con il padre e sognano che la madre torni a casa.

A seguito di libere elezioni, nel 1993, il partito che aveva sfidato il potere, vince. Inizia un periodo di instabilità politica con colpi di stato, uccisioni di Presidenti, lotte fratricide. Tutti sono più insicuri, soprattutto perché emergono gli odi tra le etnie presenti: gli hutu, più forti in Ruanda, e i tutsi più numerosi e forti in Burundi.

All’improvviso, si smette di essere se stessi e si viene indicati e riconosciuti come prede, perché appartenenti a una delle etnie nemiche. Le strade vengono presidiate da bande di scalmanati, feroci militanti protagonisti di scontri sanguinari e cruenti.

Per qualche tempo le famiglie benestanti come quella di Gabriel e dei suoi amici non subiscono ritorsioni: le ambasciate e i funzionari consentono loro di lavorare e circolare liberamente. La guerra infuria nelle campagne: villaggi devastati, incendiati, le scuole attaccate, gli alunni bruciati vivi all’interno.

Tutti fuggono verso la Tanzania, lo Zaire, ma soprattutto verso il vicino Ruanda. L’ondata migratoria spaventa le etnie locali e inizia la caccia ai tutsi. I cuginetti di Gabriel vengono uccisi e lasciati a marcire in casa. Uno zio militare viene fucilato, la famiglia barbaramente uccisa. L’odio in libera uscita.

La notizia dei massacri dei tutsi in Ruanda si diffonde rapidamente. Iniziano rappresaglie ed imboscate anche in tutto il Burundi. A pagare sono gli hutu, dapprima i servitori, le categorie più umili, quelli che non godono della protezione di nessun potente.

Poi il padre di Armand, l’ambasciatore, viene trovato massacrato e la paura si diffonde tra i ragazzi che decidono di dare una mano, di agire per evitare improvvisi e imprevisti attacchi. Si armano, si riuniscono in bande, presidiano le strade, i ponti e danno la caccia agli hutu . Uccidono senza pietà.

La guerra chiede a ognuno di trovarsi un nemico. Non si può restare neutrali.

Foto: dal sito burundi-agnews
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