Il cacao è la vera ricchezza nazionale della Costa d’Avorio, una risorsa naturale rinnovabile che da decenni finanzia lo sviluppo del Paese, per mezzo della tassa percepita al momento della sua esportazione. È la prima fonte di entrate per lo Stato, e permette una vita dignitosa a milioni di contadini.
Ma il cacao risente dei cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale: la pluviometria è divenuta instabile e imprevedibile, e i fenomeni estremi di siccità e alluvioni sono sempre più frequenti.
È così minacciata la quantità e la qualità del cacao ivoriano, che nel 2017-2018 ha totalizzato 1,2 milioni di tonnellate raccolte, quasi il 40% della produzione mondiale.
Il governo ivoriano non resta con le mani in mano: ha già adottato un piano di lungo termine per mitigare le conseguenze dei cambiamenti climatici, che ha come fine di rimediare al principale danno ambientale causato dal settore del cacao stesso, la distruzione della foresta. Soprattutto negli anni di guerra civile (2002-2011), c’è stata un’invasione anarchica delle poche zone forestali rimaste da parte di coltivatori venuti da varie parti del paese ed anche dai paesi vicini, per creare nuove piantagioni di cacao.
Il governo ha previsto di spendere 1,3 miliardi di euro per ricostituire le regioni forestali del paese. Questo ambizioso piano mira a far ricrescere le foreste che si sono ridotte di più dell’80% dal 1960 ad oggi, senza pregiudicare la produzione del cacao, riservandogli ampie zone del paese e migliorandone la coltivazione.
Ma cosa pensano i cittadini ivoriani del cambiamento climatico? Afrobarometer, agenzia panafricana indipendente di sondaggi, ha voluto interrogare un campione variegato di cittadini ivoriani per conoscere il grado di conoscenza del fenomeno e di consapevolezza della reazione da intraprendere.
Il 43% degli intervistati afferma di avere percepito un netto peggioramento delle condizioni climatiche del paese rispetto a 10 anni fa.
Sia in ambiente rurale che urbano, tutti sono preoccupati dell’aumento dei periodi di siccità (60% degli intervistati): in effetti in questi ultimi anni le grandi città del centro e del nord (Bouaké, Korhogo, Daloa), ma anche grandi quartieri popolari della capitale (Yopougon) hanno attraversato lunghi periodi di razionamento dell’acqua potabile. I disagi per la gente sono stati infiniti: lunghe code ai camion cisterna, peregrinazioni verso punti delle città non compresi nel razionamento, spese domestiche aumentate per l’acquisto dell’acqua in bottiglia, aumento dei casi di dissenteria.
Sono meno i cittadini preoccupati per il fenomeno contrario, le inondazioni: queste sono state distruttive solo in certe baraccopoli della capitale, costruite in modo anarchico occupando abusivamente siti inadatti.
Poco meno della metà degli intervistati sono consapevoli che gli effetti del clima hanno peggiorato le condizioni dell’agricoltura: la produzione è diminuita, sia per quanto riguarda i prodotti per il consumo quotidiano il cui prezzo non cessa di aumentare (riso, manioca, igname, banane plantino, verdure), che per i prodotti dell’agro-industria di esportazione: cacao, palma da olio, caucciù, anacardio.
Il 54% soltanto però è informato sulle cause a lungo termine del cambiamento climatico e sul riscaldamento globale. I meno informati e sensibilizzati sono: i cittadini analfabeti o con basso livello scolastico, le donne, gli abitanti delle zone rurali, la fascia di età sopra i 55 anni.
Benché il 75% degli ivoriani dichiari che i cambiamenti climatici stanno peggiorando la loro vita, solo il 27% afferma il singolo cittadino può fare qualcosa per contrastarli.
a cura di p. Marco Prada
Foto: raccolta e trattamento dei semi di cacao a Doba, regione di San Pedro, Costa d’Avorio (Archivio SMA)