Dal 12 al 15 ottobre scorso si è svolto a Brescia un evento straordinario: il primo Festival italiano della Missione con lo slogan Mission is possible, che ha visto protagoniste le realtà del mondo missionario italiano: la fondazione Missio della Conferenza Episcopale Italiana, la CIMI, Conferenza degli Istituti Missionari in Italia, il Centro Missionario Diocesano e la stessa città di Brescia che hanno ospitato questa iniziativa.
Il provinciale della SMA italiana, P. Luigino Frattin, ha partecipato al Festival, sia nella fase di preparazione che nello svolgimento; hanno partecipato anche i padri Martino Bonazzetti e Dario Dozio da Genova e i padri Lorenzo Snider e Zhampier Gabriel da Feriole.
A padre Luigino abbiamo chiesto di darci alcune impressioni.
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Perché un Festival della Missione?
Nostro obiettivo è stato quello di far conoscere la Missione, in tutta la sua ricchezza, la sua bellezza e la sua varietà, non tanto agli addetti ai lavori cioè ai missionari, per intenderci, quanto piuttosto alla gente comune, quella che mette saltuariamente piede in chiesa o nei luoghi dove si può incontrare un missionario, che non legge la stampa missionaria e che al massimo ha un’opinione limitata di missione, del tipo: un generico “fare il bene dei poveri del terzo mondo”.
Mi rendo conto che la parola festival abbinata allo slogan Mission is possible, (che richiama il film con Tom Cruise), può far pensare a qualcosa di leggero o poco serio; di slogan se ne sarebbero potuti scegliere tanti altri, ma tutti avrebbero dovuto trasmettere la convinzione che la missione è ancora possibile, anzi è sempre in opera, come anche che la missione deve essere sempre più “in uscita”, per andare incontro all’umanità che lotta e soffre per costruire un mondo di giustizia, di pace e di fratellanza, un mondo che non può costruirsi senza la buona notizia di Gesù.
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Chi ha preparato il Festival?
Basta una battuta per risponder: le realtà missionarie italiane, insieme! Sottolineo insieme, perché mi pare l’aspetto più positivo. Si è lavorato tanto: due anni di riunioni, incontri, discussioni, prese di contatto che hanno visto coinvolte tante persone in rappresentanza degli organismi missionari operanti in Italia. Il risultato, a detta di tutti, è andato aldilà delle aspettative, nonostante l’inesperienza e gli errori commessi; ma il frutto più bello è stato lo spirito di comunione e di collaborazione che ha permesso di realizzare il festival senza che nessuno sentisse il bisogno di attribuirsene la paternità, o fosse tentato di vantarsi del contributo dato. Questo però non ha tolto visibilità alle varie realtà missionarie; ciascuno poteva proporre la sua specificità attraverso le riviste, la stampa, le mostre, le testimonianze, ecc. La missione non è opera di una multinazionale anonima, ma atto di amore di una famiglia unita dove tutti partecipano secondo il loro carisma.
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Qual è stato il programma di questi tre giorni?
È impossibile descrivere in breve il programma del Festival: posso solo dire che è stato ricchissimo di contenuti, per tutti i gusti, per tutte le età e sensibilità; visitando il sito del festival si può avere un’idea della ricchezza e della varietà dei vari eventi che hanno fatto di questo festival una vera “festa della missione”. Da sottolineare inoltre che il festival non si è svolto in un luogo circoscritto, ben delimitato, ma in vari locali, chiese, sale, teatri, piazze e addirittura nei bar (per l’aperitivo con il missionario”).
Vorrei sottolineare la presenza di alcuni testimoni “forti” della missione che hanno attratto tanta gente e riempito le sale: penso a Suor Rosemary Nyirumbe, religiosa ugandese che si dedica da anni alle vittime della violenza in Uganda, soprattutto alle ragazze sequestrate, brutalizzate e fatte schiave sessuali dai miliziani dell’LRA – esercito di resistenza del Signore; l’EMI ha pubblicato un bellissimo libro con la sua testimonianza.
Penso a padre Alejandro Solalinde, il prete messicano che ha fondato nel 2007 “Hermanos en el Camiño”, un centro di aiuto per i migranti diretti negli Stati Uniti e che più volte è stato minacciato di morte dai cartelli dei narcotrafficanti perché ne denuncia senza timori soprusi e violenze. Per conoscere la sua vicenda si legga “I narcos mi vogliono morto” (Editrice EMI). Penso al Cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, arcivescovo di Manila (Filippine) che ancora una volta ci ha stupito con la freschezza della sua fede e la sua gioia di comunicarla.
Ma mi rendo conto che sto commettendo un’ingiustizia tacendo i nomi di tanti altri missionari, uomini e donne, che in quei giorni ci hanno arricchito con la testimonianza della loro vita.
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Che idea di missione avete cercato di trasmettere?
Direi un’idea di “missione a tutto campo!”. Abbiamo voluto ribadire con forza che il campo della missione è sempre il mondo intero, tutta l’umanità, tutti popoli della terra, tutte le culture. Nello stesso tempo abbiamo voluto sottolineare che la missione ha molti e differenti linguaggi e molti ambiti di presenza, di impegno e di azione nel mondo: continua ad essere e sarà sempre annuncio diretto e testimonianza del Vangelo ad gentes, ma anche lotta per la giustizia e la difesa della vita anche fino al martirio, sforzo instancabile per promuovere la pace e la riconciliazione, dialogo rispettoso con credenti di altre fedi, protezione del creato e sensibilizzazione a una sana ecologia, ricerca e valorizzazione della bellezza e dell’arte a servizio dell’uomo.
Inoltre la presenza di centinaia di missionari, uomini, donne, religiosi, laici, famiglie, provenienti da tante parti del mondo, le testimonianze degli ospiti , le tematiche affrontate e le esperienze comunicate e condivise, hanno veramente dato l’impressione che la missione è sempre aperta, che diventa sempre più scambio e arricchimento reciproco tra chiese, popoli e culture. La missione non è più a senso unico, ma diventa a doppio, triplo senso: ci si apre sempre più al dare a e al ricevere, cresce il senso di comunione e di condivisione: ogni chiesa dona ciò di cui il Signore l’ha arricchita e riceve ciò di cui ha bisogno.
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Avete pensato ai giovani e ai loro nuovi linguaggi?
Per loro erano previsti momenti speciali e attività specifiche in un particolare settore del festival, detto Youth Village; sottolineo la serata e la notte bianca del sabato 14 ottobre, al Palasport di Brescia, con lo spettacolo musicale del gruppo rock The Sun, presentato da Max Laudadio. I miei timpani e il mio cuore hanno sofferto per la musica sparata non so a quanti decibel al di sopra dell’umanamente sopportabile, ma ho scoperto dei musicisti rock che parlano di Gesù, di conversione, di preghiera, di adorazione oltre che di temi come la giustizia e la pace: i loro testi non sono per nulla banali, anzi.
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Che bilancio finale potresti tracciare di questo festival?
Abbiamo fatto un primo bilancio dell’organizzazione del festival che ci è sembrata più che positiva, nonostante qualche inevitabile sbavatura dovuta all’inesperienza; e qui dobbiamo ringraziare il centro missionario di Brescia e la stessa amministrazione comunale della città che hanno mostrato la loro proverbiale efficienza.
In quanto alla partecipazione, si parla di più di 15.000 presenze al festival, anche di gente venuta da lontano, dalla Puglia e da altre regioni del Sud; tutte le case religiose che si erano rese disponibili per l’accoglienza erano piene e parecchia gente ha preso posto negli alberghi. Anche su questo punto non c’è di che lamentarsi.
Ora stiamo aspettando il bilancio economico: il festival è costato alcune decine di migliaia di euro per l’accoglienza dei missionari accreditati, i viaggi degli ospiti, il materiale vario e altre spese. Tutti hanno partecipato alle spese: Missio-CEI, la diocesi di Brescia e anche noi come istituti missionari della CIMI. È da sottolineare anche che un grande appoggio è venuto da parte di alcuni sponsor di cui non cito i nomi, ma che compaiono nel sito Web.
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Quale futuro per il Festival?
Prima di tutto, possiamo affermare che ci sarà un futuro per il Festival della Missione; il sito Web continuerà ad essere attivo e a ricevere contributi, riflessioni, dibattiti e proposte. Stiamo valutando anche che cadenza dare, se biennale, triennale o più … perché, pur potendo far tesoro dell’esperienza fatta, si tratterà di un grosso impegno.
Stiamo valutando anche la questione del luogo: l’ideale sarebbe che fosse itinerante e toccasse più città, dal nord al sud dell’Italia, ma bisogna valutare quali realtà avranno la possibilità di ospitare un evento così bello, ma anche così complesso.