P. Mauro Armanino, in questa sua nuova toccante lettera, ci racconta la storia travagliata di Moussa, originario del Gabon, con il sogno di diventare un calciatore e di giocare in una squadra europea. Ma il suo sogno, dopo aver attraversato diverse frontiere ed essere stato persino abbandonato nel deserto al confine con l’Algeria, si è fermato a Niamey. Adesso spera solo di poter ritornare nel Paese natale.

Parte di nascosto dalla famiglia nel 2022. Sono quattro sorelle e tre fratelli, coi genitori sorpresi dalla sua telefonata dalla capitale de Camerun, Yaoundé.

Moussa si presenta di professione calciatore e gioca in difesa. È originario del Gabon, Paese che per molto tempo ha galleggiato sul petrolio attirando migliaia di lavoratori migranti. Moussa è convinto che il suo futuro sarà in una squadra di calcio d’Europa. Passa la Nigeria e attraversa il Niger per raggiungere l’Algeria. Trova lavoro come imbianchino nella capitale e riesce a mettere da parte i soldi sufficienti per completare il suo viaggio nella città di Sfax, in Tunisia.

Lavorando in città si può permettere di pagare i 700 euro che il passeur gli ha chiesto per il transito in Italia. Siamo a inizio settembre dell’anno scorso.

Profittando della notte, Moussa e una ventina di passeggeri con 9 donne e alcuni bambini, si imbarcano su una zattera di ferro. Non sono lontani da riva quando una pattuglia delle guardia costiera tunisina li intercetta e li riporta su quel continente che, invece, avrebbero voluto lasciare per sempre dietro di loro. Moussa e gli altri compagni di viaggio passano due mesi in prigione a Sfax.

Con altre centinaia di migranti e rifugiati sono trasportati in bus nel deserto alla frontiera con l’Algeria e ivi abbandonati al loro destino.

Spostati in un centro di raccolta e detenzione nella città di Tamanrasset, sono poi caricati su camion come animali o mercanzia da vendere e abbandonati nell’ultima città frontaliera dell’Algeria col Niger, chiamata In Guezzam.

La notte raggiungono il confine col Niger camminando nel deserto e osservando le luci lontane del villaggio di Assamka, provvisorio asilo per miglia di migranti espulsi e deportati.

Passata la città di Arlit, Moussa, coi pochi soldi nascosti alle rapine dei militari, raggiunge Tahoua e, infine, Niamey. Alloggiato per un paio di settimane nella stazione del bus che l’ha trasportato alla capitale del Paese è in cerca di cibo e alloggio. Cerca un lavoro qualsiasi che gli permetta di raggiungere l’ambasciata più vicina onde tornare al Paese natale. Suo padre si chiama Ibrahim e sua madre Fatima. Moussa, Mosè, non ha attraversato il Mare perché ha saputo dopo di trovarsi in fuori gioco.

P. Mauro Armanino

Niamey


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