Aliya sarebbe senz’altro diventata una delle ultime principesse. La favola era stata scritta dai genitori. Lui di origine liberiana e lei di origine togolese. Le migrazioni combinano e sciolgono matrimoni, alleanze, fatue promesse ed eterne amicizie. La loro storia era nata a Niamey, nel Niger e più presisamente nel quartiere popolare chiamato Gamkallé.
La mamma aveva due figli da una precedente unione e il papà di Aliya aveva accettato di tutto cuore di prenderli come suoi. Con lei, principessa di un regno di sabbia che ancora non era stato concepito da queste parti. Regno di un re qualunque, senza territorio e senza popolo da governare, un titolo nobiliare da annoverare tra le importanti inutilità della storia umana.
Una principessa d’altri tempi con tanto di reggia e un parco per le visite degli altri dignitari del regno e dei principati vicini. I suoi genitori erano fieri di lei che li avrebbe ricompensati dei tanti sacrifici per farla crescere, studiare e soprattutto coltivare le doti che avevano scoprerto in lei. Li avrebbe fatti felici e coeredi della sua fortuna.
Aliya, il cui nome di presunta origine araba significa ‘forza’ o ‘robustezza’. Questo nome potrebbe però anche avere radici linguistiche germaniche e, in questo caso, il nome vorrebbe dire ‘nobile’. Questo spiegherebbe la sua prima vocazione al titolo di principessa senza peraltro precludere altri cammini non meno nobili. In effetti Aliya sarebbe senz’altro diventata una migrante come i suoi genitori.
Il papà liberiano, fuggito dalla guerra in Ghana e poi, una volta non tornata la pace, ha viaggiato più volte nei Paesi del Maghreb cercando, senza riuscirvi, di raggiungere l’Altro Mondo di cui così tanto gli avevano parlato gli amici. L’ultimo suo tentativo in Algeria aveva abortito perché aveva saputo che questo Paese ributtava indietro migranti e rifugiati. Si era convinto che sarebbe stato inutile continuare ed era tornato alla capitale Niamey dove aveva infine trovato lei, la Sua Sola Terra, e si era sposato.
Aliya avrebbe continuato il viaggio del padre e quello della madre che, di mestiere parrucchiera, aveva aperto un minuscolo e dignitoso salone per signore nel quartiere. Aliya sarebbe andata più lontano, fino al paese che ancora non si è inventato.
Aliya sarebbe senz’altro diventata donna e forse madre, un giorno. Avrebbe imparato ad innamorasi con la vita e poi ai tradimenti dell’amore. Avrebbe contato i giorni di festa, i vestiti secondo l’occasione e il trucco leggero agli occhi con il profumo che l’avrebbe resa unica tra le tante.
Avrebbe scoperto che i giorni sono diversi a seconda degli occhi che la guardavano e che, da ragazza com’era, la facevano sentire una donna del tutto speciale per qualcuno. La prima volta le sarebbe capitato come per caso e poi avrebbe scoperto i misteri del suo corpo e dei sentimenti, come l’amore che si avvicina così tanto alla morte, le dicevano. L’avrebbero consigliata di sposarsi per diventare una donna come le altre e tra le altre.
E un giorno sarebbe rimasta incinta senza saperlo e senza volerlo. Avrebbe avuto paura di trovarsi sola in quel momento e sentiva timore di dirlo a sua madre e soprattutto a sua padre che l’aveva minacciata apertamente nel caso questo fosse accaduto. Contro tutto e tutti non aveva voluto separarsi dal frutto del suo grembo di madre.
Aliya sarebbe senz’altro diventata rivoluzionaria come solo le donne sanno esserlo quando possono. Era diventata una militante per i diritti delle donne da quando aveva scoperto che l’unico rivoluzionario degno di questo nome era Dio, differente da quello che gli avevano raccontato da piccola. Aliya sarebbe diventata senz’altro tutto questo e forse ancora più solo avesse potuto.
Aliya è nata il 22 dicembre del 2020 e il mercoledì 10 febbraio scorso, non ancora due mesi di vita, è morta di disidratazione acuta alle 11. 30, mandata da una clinica all’altra. Suo padre si chiama David e sua madre Yawa. Due mesi di vita e un fiore di sabbia piantato sulla tomba.
P. Mauro Armanino, Niamey
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