C’è stata una migrazione geografica che solo il Sahel, l’altra riva secondo l’etimologia del termine, ha saputo annotare sulla polvere dal 26 luglio scorso, data del golpe di Niamey. Il Mali, il Burkina Faso e, ultimo arrivato per ora, il Niger, che il colpo di stato attraversa a tutt’oggi senza darlo troppo a vedere. Variegate le manifestazioni di appoggio ai golpisti, il presidio permanente alla zona deve sono stazionati i militari francesi, il nuovo governo installato e le bandiere nazionali esibite da tassisti e incauti motociclisti. Ai lontani confini del Paese permangono le frontiere chiuse a persone e mercanzie. Detenuto da allora al suo domicilio, il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Dal golpe migrante ai migranti del golpe che si realizza nell’invisibile presenza e transito degli “esodanti o avventurieri”, come si dice qui.
In effetti, ogni migrazione infligge, a suo modo, un colpo di stato fatale al sistema. Le frontiere, le culture e le identità si spostano grazie a persone, storie e progetti di vita che sfidano in permanenza l’ordine (o il disordine) stabilito. C’è da prender atto che, nell’apparente banalità del viaggio, il più efficace golpe dell’umana avventura, è costituito dalle migrazioni. Folli imprese dove si rischia l’esistente per l’incertezza di un futuro immaginato differente. Per raggiungerlo si soffre e si rimpiange quanto si ha lasciato.
C’è chi si accampa in strada, alle porte dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni o non lontano dalle stazioni dei bus in città. Il golpe dei migranti dura da millenni e continuerà malgrado i sistemi di sorveglianza, le frontiere armate, gli accordi di cooperazione coi fondi fiduciari di sostegno ai progetti di sviluppo. Il tutto giustificato per arrivare alle “cause profonde delle migrazioni“.
Ogni golpe è, di fatto, il tentativo del progetto migratorio da un regime all’altro, da una repubblica all’altra e da una democrazia all’altra. Migrano i militari e transumano i partiti politici. Migrano con loro anche gli opportunisti che, come sempre, non perdono l’occasione per salvarsi. Migra soprattutto il lavoro perduto, i soldi che non bastano, il cibo fattosi raro, i salari occasionali e i prezzi in aumento dei generi alimentari.
Migrano le Ong limitate nell’azione umanitaria, gli imprenditori di violenza armata che operano dove si offrono prospettive di occupazione e migrano i sogni che passano la frontiera con la piroga. Migrano i sogni di un’altra società possibile e gli ideali di un mondo in procinto di nascere da quello antico. Migrano, infine, le parole di verità prese in prestito dalla speranza che, forse domani, ci sarà una giustizia per i poveri.
Padre Mauro Armanino
Niamey
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