“È Dio che dona la vita e che dà la morte ed è verso di lui che ritorniamo. Mio confidente, mio pilastro, mia guida, il mio migliore amico, il mio caro papà se n’è andato per sempre”. Così Sidiki Diabaté ha annunciato al mondo la morte di suo padre, Toumani Diabaté, grande maestro di kora conosciuto a livello internazionale. È deceduto a Bamako, capitale del Mali, all’età di 58 anni.
Chi scrive, ha avuto l’onore e il piacere di intervistarlo diversi anni fa, qualche ora prima di un suo concerto in Spagna. Nonostante gli impegni e le prove antecedenti il live, Toumani Diabaté era stato disponibile a rispondere a varie domande, incentrate soprattutto sull’album dal titolo Boulevard de l’Indépendance, realizzato con la Symmetric Orchestra, collettivo di musicisti formato, tra gli altri, da: Mamadou Kouyaté detto “Santiago” (chitarra acustica), Bassèkou Kouyaté (n’goni), Fodé Lassana Diabaté (balafon) e Pee Wee Ellis (sax tenore e baritono).
Boulevard de l’Indépendance è un progetto in cui protagonisti sono la musica dell’Africa Occidentale, nonché il ricco patrimonio culturale del popolo mande. Brani come “Mali Sadio” e “Wasso” descrivono antiche epopee tramandate ancora oggi oralmente da quelle figure epiche chiamate griot, un po’ cantastorie, un po’ conciliatori, oltre che detentori di racconti che si perdono nella notte dei tempi. Lo stesso Toumani Diabaté ne incarnava una versione moderna. Discendeva infatti da un’importante famiglia di griot e con le sue composizioni portava avanti la tradizione e la cultura mandinga.
Toumani Diabaté, nato nel 1965 a Bamako, “ha diffuso la musica del Mali ovunque nel mondo”, come ricordato da Oumou Sangaré, anche lei cantastorie maliana.
Il grande merito di Toumani Diabaté è quello di aver creato un ponte sonoro-culturale tra passato e presente, tra musica tradizionale del Mali e sonorità contemporanee.
Al centro della sua musica – suo grande lascito – vi sono strumenti tipici dell’Africa occidentale, quali la kora, arpa-liuto generalmente a 21 corde, strumento principe dei griot; il balafon; lo n’goni, chitarra a tre corde; e percussioni come il sabar, il dundun e il djembé. Strumenti che creano un tripudio di poliritmie che riportano l’ascoltatore al cuore della vecchia Africa. Per questo veniva chiamato non solo griot, ma anche “baobab della musica del Mali”.
Attraverso la sua musica, Toumani Diabaté ripercorreva le vicende e lo spirito culturale dell’Impero Mandingo, antico Regno dell’Africa, che raggiunse il suo apice con il re/guerriero Sundjata Keïta, ovvero colui che creò armonia e stabilità nella terra mandinga. Come abbiamo ricordato in un articolo sul nostro sito, i popoli che facevano parte di questo regno erano legati da un’organizzazione sociale intrisa di valori umanistici, che oggi definiremmo democratici. Tra questi valori vi erano: il rispetto dello straniero e dei paesi confinanti; l’importanza della giustizia, dei diritti e dei doveri, e di uno spirito di tolleranza.
Non è un caso che Toumani Diabaté diffondeva con la sua kora messaggi di solidarietà, di rinnovamento culturale e di riconciliazione.
Nel corso di quell’intervista che mi aveva gentilmente rilasciato, Toumani Diabaté volle ricordare che:
«Prima dell’arrivo degli europei, gli attuali Mali, Senegal, Guinea, Guinea Bissau, Gambia, Burkina Faso e Costa d’Avorio formavano un’unica entità statuale. Con la colonizzazione, questa unità geografica, e da molti punti di vista anche culturale, è stata spezzata con la creazione dei vari Stati che oggi compongono il mosaico di quell’area. Molte famiglie sono state divise.
[…] auspico che quei legami culturali un tempo così forti possano rinascere.
[…] È importante recuperare le nostre radici culturali, perché situazioni di povertà diffusa, come è purtroppo il caso del continente africano, portano le persone a essere vulnerabili e a lasciarsi abbagliare da illusori modelli esterni. Il proprio passato e i propri costumi rischiano di venire dimenticati o rinnegati. E la miseria è terreno fertile per alimentare guerre di potere. Attraverso la cultura e il recupero della propria identità la condizione di povertà che attanaglia molti Paesi africani può mutare».
Sono passati ben 18 anni da queste parole di Toumani Diabaté, che aveva condiviso con me. Parole che suonano ancora profondamente attuali guardando al presente.
Non solo il Mali, ma l’Africa e il mondo intero ha davvero perso uno dei suoi più grandi griot, depositario di antiche epopee e voce inneggiante all’armonia e alla pace.
Silvia C. Turrin